Prof. Fernando Palestini

DIOCESI – L’Avvento «è un tempo di attesa, è un tempo di speranza» e «ci ricorda che Dio è presente nella storia per condurla al suo fine ultimo per condurla alla sua pienezza, che è il Signore. È il “Dio con noi”, Dio non è lontano, sempre è con noi, al punto che tante volte bussa alle porte del nostro cuore», ha spiegato il 29 novembre papa Francesco nel suo primo Angelus d’Avvento in piazza San Pietro.

Il periodo di Avvento ci aiuta ad accogliere nel silenzio, nella riflessione il Dio che viene (Gesù Bambino per i più piccoli). Il tempo che stiamo vivendo è caratterizzato da una pandemia (Covid-19) che ha sbriciolato molte nostre certezze, che ci ha reso decisamente più vulnerabili e che purtroppo ha finora provocato decine di migliaia di morti nel nostro paese e più di un milione e seicentomila morti nel mondo (sono numeri drammatici, sono vite umane che non ci sono più).

Anche per questo il Natale che vivremo sarà decisamente diverso e forse ci aiuterà a ritrovare le cose veramente importanti, ci costringerà a ricercare l’essenziale e superare le cose futili che spesso riempiono i nostri giorni ma non danno senso alla nostra vita. Anche i gesti hanno la loro importanza e non poter manifestare il nostro affetto con un abbraccio, con un bacio se da una parte limita noi stessi dall’altra ci permette di cogliere ancora di più il valore di sentimenti profondi come l’affetto, l’amicizia, la fraternità, la condivisione.

Un inno della preghiera della Comunità di Bose recita cosi: “La sentinella nella veglia invoca il giorno dalla notte; volgiamo gli occhi al Dio con noi; il suo splendore ci pervade”. E’ forse la realtà che un po’ tutti noi stiamo vivendo con difficoltà e paura. Riusciremo a superare “la notte di questo tempo presente” con la luce della speranza, con l’attesa della Sua venuta?

Papa Francesco ci indica la strada: “Il bene tende sempre a comunicarsi. Ogni esperienza autentica di verità e di bellezza cerca per se stessa la sua espansione, e ogni persona che viva una profonda liberazione acquisisce maggiore sensibilità davanti alle necessità degli altri. Comunicandolo, il bene attecchisce e si sviluppa. Per questo, chi desidera vivere con dignità e pienezza non ha altra strada che riconoscere l’altro e cercare il suo bene.” (Evangelii gaudium n.9). E’ questo il messaggio più vero del S. Natale: riconoscere nella follia d’amore di un Dio che decide di farsi uomo il Cristo che viene, che si fa ultimo e povero in una mangiatoia  e con Lui riconoscere l’altro riconoscendo in ogni uomo un mio fratello.

Nell’enciclica “Fratelli tutti” il Papa riprendendo il brano evangelico del buon samaritano così ci responsabilizza: “la parabola ci mostra con quali iniziative si può rifare una comunità a partire da uomini e donne che fanno propria la fragilità degli altri, che non lasciano edificare una società di esclusione, ma si fanno prossimi e rialzano e riabilitano l’uomo caduto, perché il bene sia comune”.

Dipende allora da noi, dai nostri gesti, dalle nostre scelte di vita sperimentare e far germogliare tanti aneliti di speranza vivendo appieno il lieto annunzio del Natale.

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