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Sulla sedia a rotelle dopo l’incidente con la moto, Simone Perozzi: “Don Dino Straccia mi ha fatto sentire importante anche agli occhi di Dio”

COLONNELLA – Un gran sorriso, aperto ed allegro. Così mi accoglie Simone Perozzi, un giovane diciassettenne colonnellese che, da poco più di un anno, ha perso l’uso delle gambe a causa di un incidente con la moto. Perfettamente a suo agio sulla sua sedia a rotelle, mi fa fare il giro di casa, mi mostra la sua stanza e poi mi accompagna al piano di sotto in giardino. Nessun imbarazzo, nessun indugio, solo tanta energia e voglia di fare.

Cosa ti è accaduto? Ti va di raccontarcelo?
Ho avuto un incidente con la moto il 15 Settembre del 2019, mentre ero insieme ad alcuni miei amici a Centobuchi ad un raduno. Ero solito riunirmi con altri amanti delle motociclette in aree abbastanza grandi, come, ad esempio, i parcheggi delle zone industriali, per ammirare le nostre moto, scambiarcele e fare un giro in quelle che per noi erano delle piste improvvisate, ovviamente senza alcun tipo di pericolo, lontano dal traffico delle strade, solo per il gusto di vedere le moto tra di noi, noi che le amiamo così tanto. Quel maledetto giorno, mentre stavo provando la moto di un amico, questa ha avuto un problema meccanico ed io sono finito in un canale, con la moto sopra di me, dopo un volo di alcuni metri. La situazione mi è stata chiara fin dall’inizio: ho capito subito, infatti, che si doveva trattare di qualcosa di grave, perché ho dovuto attendere che arrivasse l’eliambulanza per essere trasportato all’Ospedale Torrette di Ancona.

Cosa ti hanno fatto in Ospedale?
Sono rimasto in ospedale per ben quattro, lunghi, interminabili mesi. Sono stato operato prima nel reparto di Neurochirurgia dalla Dott.ssa Valentina Liverotti; poi, dopo cinque giorni, sono stato trasferito all’Unità Spinale e, a causa di alcune complicazioni, ho subìto un secondo intervento per le mani del Dott. Mauro Dobran. L’esito degli interventi è stato implacabile: la lesione midollare che avevo riportato a seguito dell’incidente mi aveva bloccato il movimento delle gambe per sempre. Non avrei più camminato.

Come ti sei sentito quando ti hanno detto che non avresti più camminato?
In realtà nessuno me l’ha mai detto direttamente. Sono stato messo nella condizione di capirlo da solo. All’inizio ero molto destabilizzato e confuso, non facevo ipotesi sul futuro, contavo solo i giorni in attesa di uscire dall’ospedale, perché mi procurava sofferenza non poter vedere i miei amici. Poi, man mano che i giorni sono passati, è cambiato anche il mio stato d’animo: ho capito che dovevo in qualche modo rassegnarmi. Ma, attenzione! Non rassegnarmi alla vita, rassegnarmi al fatto che non potessi più camminare. Ho dovuto fare due passi importanti, ovviamente non con le gambe, ma con la testa! Ho dovuto prima di tutto accettare quello che mi era successo, visto che non potevo cambiarlo. Poi, in secondo luogo, ho iniziato a passare il mio tempo, concentrandomi non su quello che non potevo più fare, ma su come poter fare le cose che desideravo. Sembra forse una cosa scontata, ma non lo è! Realizzare nella testa che la propria condizione è cambiata, non piangersi addosso, vedere con gli occhi e con il cuore non quello che non hai più, bensì quello che ancora hai, apprezzarlo ed impegnarsi per valorizzarlo: questa è stata e continua ad essere la vera sfida.

Come è cambiata la tua routine quotidiana?
Tutto e niente! Da un lato sono cambiate molte cose, dall’altro – tutto sommato – non è cambiato nulla. Mi spiego meglio. Molte azioni che prima davo per scontate, ora non lo sono più: affrontare una salita, scendere le scale per andare sotto casa, passeggiare sotto la pioggia o magari fare determinate attività sportive. Ecco, tutte queste cose le posso ancora fare, ma devo farle in maniera diversa da prima: magari ho bisogno di strumenti ed accessori diversi per farle oppure mi occupano più tempo perché c’è bisogno di una preparazione diversa. Faccio un esempio: al mattino, quando mi preparo per andare a scuola, non impiego più 10 minuti per andare in bagno e lavarmi, ma ho bisogno di almeno 30 minuti; questo significa che devo svegliarmi prima per avere il tempo necessario di fare tutto. Quando vado a prendere l’autobus, non scendo più le scale di casa, ma devo utilizzare il nuovo ascensore che abbiamo fatto installare appositamente per me, impiego inoltre qualche minuto in più per arrivare alla fermata e ho bisogno della pedana per poter salire. Prima non mi ero mai reso conto di quante barriere architettoniche ci fossero in giro; ora invece io ed i miei amici prestiamo molta attenzione a questo problema. A scuola, invece, non è cambiato quasi nulla: ad esempio, a ricreazione, continuo a giocare a carte con i miei amici come facevo prima. Certo, se devo scendere in cortile, la questione cambia, ma, con pazienza ed impegno, riesco ad andarci se ne ho voglia. Ho cercato di continuare a coltivare anche un paio delle mie passioni. Prima andavo in palestra e giravo in moto; ora, non potendo più fare quest’ultima cosa, ho proseguito con la palestra ed ho aggiunto anche il nuoto e l’handbike. L’attività fisica, per me, ora non è più solo un hobby, ma anche una necessità ed un impegno. Il vero divertimento è quello con gli amici. Di solito, nelle sere d’estate, ci ritroviamo tutti davanti al piazzale della Chiesa, chiacchieriamo un po’, magari giochiamo a pallavolo; d’inverno, invece, quando c’è cattivo tempo, prediligiamo attività all’interno delle nostre case, magari ci mettiamo a vedere un film oppure giochiamo a Monopoli, a Risiko o con la Playstation. In questo la mia vita scorre come prima, con la differenza che ora capisco ed apprezzo molto di più il valore delle cose che faccio e delle persone che ho intorno.

Queste tue riflessioni, molto profonde e significative, sono tue deduzioni personali oppure sono frutto di un percorso che hai fatto con qualcuno?
Sono stato aiutato da molte persone. Prima di tutto in ospedale ho avuto la fortuna di incontrare professionisti competenti ed affettuosi, come, ad esempio, i due fisiatri William Capeci e Barbara Cicconi, la fisioterapista Micaela Tambroni Armaroli, la dott.ssa Maria Antonietta Recchioni, primario dell’Unità Spinale. Poi ho ricevuto l’affetto e la vicinanza di molti miei concittadini che, seppur in modo diverso, mi hanno sostenuto ed incoraggiato. Inoltre ora ci sono gli allenatori delle varie discipline sportive in cui mi sto cimentando, che quotidianamente mi stimolano a fare di più e a fare meglio: per il nuoto Andrea della Cavalluccio Marino, per la palestra Ennio della Si Sport e per l’handbike il mio compaesano Primo Sprecacè dell’Associazione Paraplegici delle Marche. Infine ci sono gli amici, quelli che sono venuti a trovarmi in ospedale, quelli che mi hanno organizzato la festa di bentornato a casa, quelli che mi chiamano per uscire, quelli che mi scrivono, quelli che escono e giocano con me, quelli che passano il tempo con me, quelli che ci sono sempre stati e continuano ad esserci e senza i quali mi sentirei perso. A tutti loro, ai professionisti che ho incontrato, agli istruttori che mi allenano, ai Colonnellesi e ai miei amici va il mio sincero ringraziamento per il conforto, la carica e l’affetto che mi hanno dato e continuano a darmi. Ma un grazie speciale voglio dirlo i miei familiari per il grande lavoro che hanno fatto: sono stati fantastici; ognuno, a suo modo, ha contribuito a far tornare il sereno nella mia vita! Mi sono sentito amato da loro, profondamente amato. Quando mi sono trovato nella condizione di non poter camminare più e di essere in parte responsabile di quello che mi era accaduto, i miei familiari sono stati eccezionali. A quel raduno, ho provato a guidare una moto di una cilindrata superiore a quella consentita per la mia età, ma ero sicuro di saperla guidare; l’incidente non è stato causato da una mia negligenza o incompetenza nel guidarla, bensì da un problema meccanico che sarebbe potuto capitare a chiunque. In quel momento difficile, per me e per loro, i miei familiari mi hanno sempre sostenuto, non mi hanno mai fatto pesare il giudizio degli altri, non hanno alimentato in me pericolosi sensi di colpi, anzi mi hanno trasmesso tanta forza e tanto coraggio.

Che rapporto hai con la fede?
“Per risponderti uso una frase di Eminem: La verità è che non sai cosa succederà domani: la vita è una corsa folle e il risultato non è garantito. Questo artista è uno dei miei preferiti e racconta molte verità, anche quelle scomode … anche se – a dire il vero – negli ultimi mesi molte cose per me sono cambiate e quelle verità, che avevo in tasca fino allo scorso anno, ora non sono poi così tanto chiare.” Tiro un sospiro di sollievo. Eminem non è esattamente il genere di artista che mi piace citare, è uno che della vita, a volte, ha fatto anche scempio”.

Però Simone ha 17 anni e già mettere in discussione quello che fino a pochi mesi fa era il suo idolo, può bastare per iniziare un cammino alla scoperta della Verità. Ed infatti il suo racconto prosegue così: “Ora sono in una fase di riflessione, mi interrogo, a volte mi dò delle risposte, altre volte no. Faccio fatica a frequentare la Messa ogni domenica, ci vado quindi solo nelle occasioni importanti. Quello però che invidio ad alcune persone è la fede incrollabile, come, ad esempio, quella di nonno Francesco che, nel periodo dell’incidente, anziché arrabbiarsi e ribellarsi ad un destino ingiusto, è andato a Lourdes per ringraziare la Madonna che fossi vivo e per pregare per me e la mia salute. Mi hanno molto colpito anche l’interesse e l’attenzione verso di me da parte di don Dino Straccia, il nostro parroco, che da Colonnella è venuto in ospedale ad Ancona per amministrare i Sacramenti della Confessione e della Comunione: mi ha fatto sentire importante, importante per lui, importante anche agli occhi di Dio.”

Blaise Pascal diceva: Le cose umane si capiscono studiando, le cose di Dio si capiscono amando. Ecco, mentre consapevolmente la sua ricerca di Dio è in affanno, inconsapevolmente, attraverso l’amore di chi gli è accanto, Simone, quel Dio che sta cercando, forse lo ha già trovato.