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Sorelle Clarisse “Dio desidera che l’uomo viva e cerchi la felicità”

DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.

Le parabole sono lo strumento che Gesù utilizza per annunciare il suo Vangelo, per aiutare i discepoli ad immaginarsi il regno di Dio. Attraverso esse, Gesù porta i discepoli a ragionare, a riflettere attraverso l’utilizzo di immagini umane, terrene, esperienze di vita quotidiana e reale e li aiuta a discernere le cose che valgono, il bene prezioso da cercare e riconoscere nella vita.

«In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: “Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì”». 

Dio ci consegna la storia, Dio ci consegna la vita, Dio ci consegna il suo Vangelo, la sua Parola, il suo annuncio di vita e di resurrezione.

Dio consegna a ciascuno di noi se stesso. Ma non lo fa usando parzialità: cinque talenti, due talenti, un talento…Dio non fa preferenze…tutt’altro! Dio ci ha creati personalmente, non con lo stampo e dà a ciascuno di noi secondo le nostre possibilità, secondo la portata delle nostre spalle, secondo le nostre capacità.

E ha il coraggio e la fiducia di investire tutto se stesso su di noi.

I servi che hanno ricevuto cinque e due talenti vanno ad impiegarli e ne guadagnano altrettanti.

«Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro».

Dio non torna con l’intenzione di riprendersi con la forza tutto quanto è suo. Egli sta davanti a noi con una sola richiesta: raccontami tutto quello che hai fatto, ciò che è stato di te, desidero ammirare e contemplare quanto hai vissuto!

Perché Parola, Vangelo, resurrezione, vita, storia vale la pena che vengano lavorati, impastati, investiti… perché tutto questo ci dà la possibilità, come è stato per i primi due servi, di prendere parte alla gioia del Signore, di prendere parte alla sua vita, di fare cioè di ogni nostro giorno un incontro con il Signore della vita.

Il terzo servo, quello che ha sotterrato il talento, si giustifica davanti al padrone: «Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo».

Egli confessa di aver agito per paura: paura della durezza e della severità del suo signore.

E’ sempre la natura del nostro rapporto con il Signore, è sempre la modalità con cui ci relazioniamo con Lui che determina il nostro comportamento, il nostro vivere quotidiano: un vivere assumendosi le responsabilità come i primi due servi, o un vivere in fuga da esse, come per il terzo servo.

E’ come se il Signore ci mettesse davanti farina, uova, latte, zucchero, lievito e ci dicesse “lavora gli ingredienti, prova a dar loro vita”. Noi possiamo buttarci, provare ad impastare: non saremmo chef stellati ma il Signore sarebbe felice anche di un dolce poco cotto, o troppo cotto, poco lievitato o troppo zuccherato piuttosto che, tornare e trovarci di fronte al tavolo, immobili, con gli ingredienti riposti nel frigo o nella dispensa…ingredienti destinati ad ammuffire, proprio come il talento sotterrato, proprio come la vita rifiutata.

Dio desidera che l’uomo viva e cerchi la felicità, che metta in gioco la propria unicità e la propria umanità, che non si lasci paralizzare da paure o immagini distorte di Dio.

Tutto perché possa essere e vivere nell’abbondanza, possa essere e vivere, come scrive San Paolo, figlio della luce e figlio del giorno, libero da notte e tenebre.