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Messico. Nella capitale una “mega” missione diocesana in risposta alla pandemia

di Bruno Desidera

Una “missione” come risposta alla pandemia. Anzi, una “mega-missione”, in una metropoli dove tutto è “mega”: Città del Messico. Parliamo, infatti, di una delle più grandi città del mondo, probabilmente quella con il più alto numero di cattolici, anche se la popolazione dell’arcidiocesi è scesa considerevolmente un anno fa dopo la creazione delle tre diocesi suffraganee di Azcapotzalco, Ztapalapa e Xochimilco. Si parla, in ogni caso, di oltre 4 milioni di battezzati nell’attuale territorio dell’arcidiocesi. A Città del Messico si trova anche il più grande santuario del mondo, dedicato alla Nostra Signora di Guadalupe, ma al tempo stesso non mancano grandi contraddizioni, squilibri, situazioni di crescente secolarizzazione e, a volte, di anticlericalismo.

Nel cambio d’epoca generare una comunità solidale. Difficile, in una situazione così complessa, mentre il Covid-19 continua a portare malattia e morte, immaginare di dare vita a una missione diocesana. Eppure è proprio questa l’idea che è venuta all’arcivescovo, il card. Carlos Aguiar Retes, il quale ha appunto convocato una “Megamisión”, iniziata lo scorso 18 ottobre, Giornata missionaria mondiale, con un fitto programma che avrà il suo culmine, con 72 ore consecutive di attività, tra qualche giorno e precisamente tra il 13 e il 15 novembre.

Un evento di Chiesa che si tiene con tutte le avvertenze legate al momento di pandemia e, al tempo stesso, motivato anche dall’attuale situazione.“Nel mezzo di questa nuova realtà che affrontiamo, nella quale molti dei nostri fratelli vivono difficili situazioni di dolore, angustia e morte, ciascuno di noi, come battezzato, è chiamato a dare una risposta sensibile e solidale, mostrando il volto di Dio ai più bisognosi”, ha scritto nella lettera di convocazione l’arcivescovo, aggiungendo: “Questo tempo ci deve animare a uscire da noi stessi per amore di Dio e del prossimo, guardando a questo cambio d’epoca come a un’opportunità per generare una comunità solidale e capace di arrivare a tutti, rendendo presente il Vangelo nella diversità culturale di Città del Messico”.

Lasciare da parte la paura per andare incontro a tutti. Come, dunque, si svolge questa missione, e con quali aspettative? Il Sir lo ha chiesto a mons. Luis Manuel Pérez Raygoza, vescovo ausiliare di Città del Messico, che sta di fatto coordinando i lavori della missione, in quanto vicario per la Pastorale dell’arcidiocesi.

“La missione – ci dice – è stata preparata negli ultimi cinque mesi ed è stata quindi ideata ed è maturata nel contesto della pandemia del Covid-19, che ha provocato una crisi di carattere sanitario, economico, occupazionale, e ha acuito i conflitti sociali, politici e ideologici già esistenti.Come Chiesa ci consideriamo in stato permanente di missione, ma è la seconda volta che si vive questo avvenimento speciale, dopo lo scorso anno, per il mese missionario straordinario.Esso prende origine proprio dalle attuali circostanze. L’invito è quello di lasciare da parte la chiusura, le porte sbarrate, la paura, per andare incontro a tutti, per sentirsi inviati come il profeta Isaia, per portare l’amore di Gesù con gesti concreti e parole”.

Si tratta, naturalmente, di una missione particolare: “Molte attività sono virtuali, è inevitabile, cercare nuove modalità di essere annunciatori e missionari – prosegue mons. Pérez Raygoza –. L’approccio è di molta cautela e attenzione, tutto viene trasmesso attraverso il web, dunque ci è richiesta una sfida particolare di creatività”.

Verso le periferie esistenziali. È una missione aperta a tutti, quella che si sta vivendo, ma con una particolare attenzione ad alcune categorie di persone e a quelle che Papa Francesco chiama “periferie esistenziali”.

“Un lavoro particolare è stato fatto con i giovani – spiega il vescovo ausiliare – soprattutto in vista delle 72 ore consecutive che vivremo tra qualche giorno, a metà novembre, momento culminante dell’iniziativa. E poi gli ambienti di povertà sono lo sfondo costante della missione. Viviamo situazione di povertà non solo economica, ma anche di tipo esistenziale e sociale, violenza, abbandono. Altre attenzioni particolari sono quelle per la custodia del Creato e naturalmente, in un momento come questo, per il mondo della salute, oggi in prima linea. Altra protagonista è la famiglia, che in questo momento di isolamento sanitario vive vari problemi, tra cui l’aumento della disoccupazione. Non dobbiamo, poi, dimenticare che sta aumentando la violenza tra le mura domestiche. Inoltre, non manca l’attenzione ad ambiti spesso trascurati, come quello della disabilità o quello del carcere”. Per ognuna di queste aree è stato inviato un “ambasciatore”, nel corso della celebrazione eucaristica di domenica 18 ottobre nella basilica di Guadalupe. Nell’omelia della Messa di invio, il card. Aguiar Retes ha sottolineato che la missione va sviluppata attraverso la testimonianza: “Curando e dando una mano ai poveri, che soffrono di malattia, disabilità, emarginazione, isolamento, discriminazione, non solo daremo aiuto, ma anche una testimonianza dell’amore di Dio attraverso di noi”.

Certo, a Città del Messico, come in tutte le grandi metropoli, ci sono anche vaste sacche di indifferenza religiosa e secolarizzazione: “Sì – conferma mons. Raygoza –, c’è una presenza notevole di ideologie lontane, spesso ostili e a volte anche aggressive, penso alle campagne per l’ideologia gender, pro aborto, anticlericali. Ma io vedo soprattutto una grande sete di Dio. E ho grande fiducia nei laici, in molti operatori pastorali ben formati. Spero che in questa missione possiamo essere testimoni gioiosi e misericordiosi dell’amore di Dio”.