DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.

Si pone una domanda oggi il salmista: «Chi potrà salire il monte del Signore? Chi potrà stare nel suo luogo santo?». Ed è tutta la Parola di questa domenica che ci aiuta a rispondere.

Lo stesso salmo che dice: «Chi ha mani innocenti e cuore puro, chi non si rivolge agli idoli», cioè chi centra la propria vita solo in Dio. E’ questa la generazione che cerca Dio, che è in cammino verso il monte del Signore, in cammino verso l’incontro definitivo con il Lui.

Anche il Vangelo ci dà delle indicazioni ben precise: sale il monte del Signore, sta nel suo luogo santo chi è beato. E il beato è colui che cammina, che avanza, che si slancia in avanti con il desiderio di cercare e scegliere continuamente il Signore.

Il Signore, nel discorso delle beatitudini, non esalta la povertà, la sofferenza, il pianto, la rassegnazione…lo traduciamo noi così, quasi a fare della nostra fede una celebrazione della disgrazia, come a dire che la sofferenza ce la manda Dio per provare la nostra fede!! Ma proprio siamo fuori strada!! Il Signore non dice “beati gli iellati”!!

E’ beato il povero in spirito, colui che è consapevole del proprio limite interiore, della propria povertà interiore, e per questo vive con cuore semplice, essenziale, trasparente. E’ beato perché, pur non accorgendosene, lascia regnare Dio in lui, gli lascia spazio.

E’ beato colui che è nel pianto, perché è consolato, perché, ogni giorno, può scoprire che la sua vita è preziosa agli occhi di Dio, che nessun uomo, mai, è solo e abbandonato, che anche i capelli del nostro capo sono contati e le lacrime raccolte.

E beato è il mite, colui che non cede alla violenza che porta in se stesso, perché è lui a portare avanti la storia.

E beato è colui che ha fame e sete di giustizia, colui che sa mettersi in gioco, sa portare il peso delle sue scelte e dei suoi sbagli, che non cede al basso compromesso e all’astuzia malevola perché il Signore gli riempie l’esistenza di vita abbondante.

E beato è il misericordioso, colui che non fa della giustizia un idolo, ma guarda all’altro con verità e compassione; è beato perché ogni giorno è abbracciato da Dio.

E beato è il puro di cuore, perché il suo sguardo trasparente gli permette sempre di riconoscere Dio nella sua vita.

E beato è l’operatore di pace, colui che è pacificato interiormente e capace, così, di dare pace all’altro: è beato perché sperimenta ogni giorno l’essere figlio di Dio, l’appartenere ad un Padre che lo ama e mai lo abbandona.

E beato è chi è perseguitato a causa di Dio: ma non perché subisce e sopporta la sofferenza ma perché sperimenta la presenza di un Maestro che non lo rinnega mai e che gli riaffida, ogni giorno, le chiavi del suo regno.

«Chi potrà salire il monte del Signore? Chi potrà stare nel suo luogo santo?».

Anche San Giovanni, nella seconda lettura, ci aiuta a dare una risposta: colui che si riconosce amato da Dio, che è consapevole del suo essere figlio di Dio, chi spera saldamente di poterlo incontrare faccia a faccia, chi ha fatto esperienza della misericordia di Dio e, pur con fatica, la riversa sugli altri.

«Chi potrà salire il monte del Signore? Chi potrà stare nel suo luogo santo?».

Nella prima lettura, tratta dal libro dell’Apocalisse, San Giovanni, in visione, ci parla di 144.000 servi del Signore, coloro che sono segnati sulla fronte col suo sigillo, coloro che stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte, coloro che abitano la tenda di Dio, coloro che sono salvati.

E’ una visione solamente? E’ un qualcosa che riguarda solo il futuro? È una modalità con cui San Giovanni vuole dirci per il cammino verso la santità è per pochi? Lui scrive di 144.000 eletti. È una modalità per aiutarci a rispondere alla domanda che ci siamo posti durante tutta questa meditazione, nella consapevolezza che il cammino è arduo e non tutti vi sono chiamati?

144.000 non indica un limite ma, se leggiamo attentamente la prima lettura, sta ad indicare una moltitudine immensa, senza confini…e tutti gli atteggiamenti elencati nella nostra riflessione non sono semplici modalità di vita che ci vengono richieste in vista di una ricompensa nei cieli, nella speranza di essere annoverati anche noi tra i santi, tra coloro che, usando un gergo ciclistico, hanno tagliato il traguardo della montagna di Dio.

Noi siamo già segnati con il sigillo dell’appartenenza e della salvezza. noi siamo già figli, noi siamo già generazione di Dio, noi siamo già abitanti della sua tenda…perché siamo beati, perché siamo già in cammino, perché, con inciampi, cadute, fermate, dubbi e incertezze, manteniamo il desiderio di rispondere ad un Dio che ci chiama, ogni giorno, con la nostra vita e nella nostra vita a celebrare la salvezza.

Oggi, allora, la Chiesa non ci chiama a festeggiare chi ce l’ha fatta, non ci chiama ad emulare figure di uomini e donne straordinari di cui dobbiamo ricalcare le orme! Oggi, la solennità di tutti i Santi, ci conferma che ciascuno di noi è chiamato alla felicità piena, che Dio chiama ciascuno di noi alla felicità piena…noi coltiviamone il desiderio vero, ogni giorno, gli strumenti per continuare il cammino il Signore non mancherà di donarceli!

 

 

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