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Scuola, un patto per l’educazione

Alberto Campoleoni

Le notizie martellanti sulla recrudescenza del Covid non possono non spaventare. E le scuole sono certamente al centro dell’osservazione di chi teme contagi. Nelle scuole e nel contesto che le accompagna – movimenti di studenti, trasporti, assembramenti inevitabili – si annidano con facilità elementi critici, fattori di possibile trasmissione dell’epidemia. E allora che fare? Chiudiamo tutto?
Sono domande che aleggiano in questo autunno tormentato. Qualcuno ha già preso carta e penna per disporre chiusure localizzate. La ministra Azzolina, peraltro, ha detto più volte che “la scuola non si tocca” e addirittura che si tratta del “luogo più sicuro”.
A chi dare retta e come muoversi? Soprattutto, quali logiche possono guidarci nel considerare anche il problema chiusure in rapporto all’importanza della scuola e dell’educazione?
Più volte abbiamo ascoltato e rilanciato sottolineature sul fatto che l’ambiente scolastico e la riapertura delle scuole, siano decisivi per il Paese. Buona cosa la didattica a distanza, ma troppe le criticità (e le carenze strutturali). E soprattutto troppo forte l’impoverimento di quello che dovrebbe essere il ruolo fondamentale dell’azione educativa, del laboratorio di umanità che si realizza nelle aule di ogni Paese – non solo da noi – dove l’incontro, il dialogo, l’apprendimento, il confronto e tanto altro, fanno crescere in umanità – prima di ogni altra cosa – le nuove generazioni.
Su questo tema ecco la parola – sembra un grido – di papa Francesco, che chiede di sottoscrivere un “patto educativo globale” e lo fa in un momento in cui tutti i sistemi educativi del mondo hanno sofferto e soffrono i disastri della pandemia. Si parla – ricorda il Papa – di “catastrofe educativa” di fronte “ai circa dieci milioni di bambini che potrebbero essere costretti a lasciare la scuola a causa della crisi economica generata dal coronavirus, aumentando un divario educativo già allarmante (con oltre 250 milioni di bambini in età scolare esclusi da ogni attività formativa)”.
A questo scenario drammatico Francesco contrappone la necessità di un rilancio di passione e di speranza perché in gioco c’è il futuro dell’umanità, da intendere come fraternità globale e da rivedere nell’ottica di un nuovo modello di sviluppo perché proprio “il Covid ha permesso di riconoscere in maniera globale che ciò che è in crisi è il nostro modo di intendere la realtà e di relazionarci tra noi”.
Puntare sull’educazione, eliminare il divario esistente tra i bambini del mondo, costruire un tessuto di fraternità che passa proprio attraverso la priorità dell’educazione, “una delle vie più efficaci per umanizzare il mondo e la storia. L’educazione – così papa Francesco – è soprattutto una questione di amore e di responsabilità che si trasmette nel tempo di generazione in generazione”.
Il Papa propone al mondo impegni concreti, dalla centralità della persona in ogni processo educativo alla salvaguardia del creato, della “casa comune”. Più di ogni cosa, però, ricorda che “nell’educazione abita il seme della speranza: una speranza di pace e di giustizia. Una speranza di bellezza, di bontà; una speranza di armonia sociale”.
Tradotto nella quotidianità, nelle criticità dei giorni nostri offuscati dalla paura, e guardando al mondo scolastico, sembra dare forza al monito “la scuola non si tocca”. È un bene così prezioso che va salvaguardato fino all’ultima possibilità, con coraggio e senza ricette semplicistiche.