Di Paolo Bustaffa

“Gli echi del linguaggio un po’ barocco della prima repubblica rimandavano al tentativo che quella classe dirigente faceva di spingere le cose più avanti. Con cautela, prudenza e qualche reticenza. Mentre il ‘parla come mangi’ dei nostri giorni evoca semmai con la semplicità delle sue parole d’ordine il suo non sapere più dove andare”. Lo scrive il politico e giornalista Marco Follini rispondendo a chi aveva affermato che Aldo Moro avrebbe definito l’attuale situazione politica italiana “una instabile continuità” o “una stabile discontinuità”. Follini contesta questa valutazione e precisa che a Moro “piacevano i discorsi complicati ma non le situazioni ingarbugliate”.
Mettere a confronto i linguaggi politici nel loro modificarsi nel tempo non è un esercizio sterile, è un prendere atto dell’esistenza e dell’inesistenza di un pensiero dentro le parole.
Ancora oggi, riducendola a esempio di ambiguità, si ricorda l’espressione “convergenze parallele” attribuita ad Aldo Moro. Espressione, coniata da Eugenio Scalfari, che intendeva riassumere in un’immagine il significato di una collaborazione, ritenuta dai più impossibile, di diverse forze politiche nel governo di un Paese in un tempo difficile.
Dietro quell’espressione c’era un pensiero che si misurava con una inedita situazione, un pensiero che si assumeva il coraggio e il rischio di intraprendere una direzione alternativa a quelle del passato per rispondere alle sfide di un cambiamento in corso e che interessava in particolare le nuove generazioni.
Oggi le parole politiche si inanellano spesso in slogan, in battute, in botta e risposta, in mordi e fuggi. Un linguaggio tipico dello spettacolo.
La responsabilità educativa del parlare politico si dissolve, non aiuta la coscienza di un cittadino e di un popolo a maturare di fronte alle sfide dell’emergenza e del dopo emergenza.
In una stagione drammatica come quella della pandemia molte parole, venute dal pensiero, dal silenzio e dall’ascolto sono diventate grandi gesti di solidarietà. La parola politica non ha avuto questo slancio.
Il linguaggio politico sulla problematica riapertura della scuola, ad esempio, non è stato all’altezza delle attese di quanti, data la posta in gioco, speravano che un’alleanza tra diversi sarebbe stata possibile e doverosa per rispetto delle nuove generazioni. Sono volate parole sprezzanti spesso rinchiuse nella gabbia dello slogan.
“Le nostre parole – scriveva Mino Martinazzoli – non ripetano la concitazione di altre, sterminate parole. Siano pacate e impegnative. Tendano alla complessità piuttosto che alla semplificazione. Si manifesti la nostra cifra originale. Non è una civetteria ma il consapevole rifiuto del conformismo”.
C’è un conformismo alla mediocrità che si rivela anche nel “parla come mangi”.

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