DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del monastero Santa Speranza in San Benedetto del Tronto.

Ci sono alcuni atteggiamenti dell’uomo, del suo essere, del suo fare, che il Signore non ama proprio. Li leggiamo nella prima lettura di oggi, tratta dal libro del Siracide: «Un uomo che resta in collera verso un altro uomo, come può chiedere la guarigione al Signore? Lui che non ha misericordia per l’uomo suo simile, come può supplicare per i propri peccati? Se conserva rancore come può ottenere il perdono di Dio?».
Continuiamo a leggerla: «Perdona l’offesa al tuo prossimo…smetti di odiare e dimentica gli errori altrui». Perdona, ci chiede il Signore!
Penso che ciascuno di noi ha ben presenti tante situazioni nella propria vita in cui il desiderio di perdono è sovrastato dalla rabbia, dalla collera, dal nostro diritto ad aver ragione.
E, come Pietro nel Vangelo, chiediamo a Gesù: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». Vale a dire: “Signore, qual è il limite massimo di sopportazione oltre il quale ho il diritto di vomitare sull’altro tutte le mie ragioni?”.
Cosa ci risponde Gesù? Il limite è «settanta volte sette».
Da bravi matematici cominciamo subito a fare il conto alla rovescia da 490 (settanta volte sette) a zero, scalando man mano tutte le volte che perdoniamo. Ma, peccato che con «settanta volte sette» il Signore ci voglia dire che il perdono non ha un tetto massimo, non ha un termine.
Ma perché perdonare? Perché a ciascuno di noi il Signore ha perdonato molto di più!!
Gesù ce lo conferma narrandoci la parabola del «re che volle regolare i conti con i suoi servi».
Li chiama ad uno ad uno finché «gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti», un’enormità.
Di fronte alla supplica del servo, il re «ebbe compassione» di lui, «lo lasciò andare e gli condonò il debito».
Ma, «appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni che gli doveva cento denari», una piccolissima cifra se paragonata ai diecimila talenti di debito che lui stesso aveva con il re.
Non volle però sentire alcuna supplica e, non potendo quel compagno restituirgli la somma, lo fece sbattere in prigione.
Il re, venuto a sapere tutto ciò, rimase sdegnato.
Ecco, il Signore, ogni giorno, condona a ciascuno di noi diecimila talenti di debito, di errori, di limiti, di mancanze e noi non riusciamo a perdonare nemmeno 600.000 volte di meno perché è di 1 a 600.000 il rapporto tra diecimila talenti e cento denari.
Termina così la prima lettura: «Ricorda i precetti e non odiare il prossimo, l’alleanza dell’Altissimo e dimentica gli errori altrui». Allora è tutta questione di occhi, di come direzioniamo lo sguardo: sul peccato di chi ci cammina affianco o sulla misericordia del Padre che, sempre e incessantemente, come canta il salmista, perdona tutte le nostre colpe, guarisce tutte le nostre infermità, ci circonda di bontà e misericordia, non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe?

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