DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del monastero Santa Speranza in San Benedetto del Tronto.

Ogni volta che ascoltiamo il brano del Vangelo che oggi la liturgia ci propone, ci soffermiamo solo sulla domanda che Gesù rivolge ai discepoli «Ma voi, chi dite che io sia?».

E, su questa domanda, giustamente, ruotano tutte le nostre riflessioni: chi è Dio per me? Cosa vuol dire avere fede in Lui? Cosa dice Dio alla mia vita?  E tante altre…

Poi c’è la risposta di Pietro, la sua professione di fede, il riconoscere Gesù come il figlio di Dio, come il Messia promesso.

Ma se leggiamo bene, ci accorgiamo che sono due le professioni di fede che troviamo in questa pagina evangelica. Quella di Pietro nei confronti di Gesù, ma anche quella di Gesù nei confronti di Pietro.

Se Pietro risponde a Gesù dicendo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente», Gesù si rivolge a Pietro così: «E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa…a te darò le chiavi del Regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

Tu sei il Cristo…tu sei Pietro…è bellissimo!

Non è un rapporto univoco quello tra Gesù e Pietro, quello tra Gesù e l’uomo, quello tra Gesù e ciascuno di noi. Non abbiamo di fronte un Dio che si impone ma un Dio che si propone, un Dio che desidera non dominare la sua creatura ma relazionarsi con essa, con ciascun uomo con il proprio nome e cognome. Una relazione che è rapporto di riconoscimento reciproco, che è rapporto di fiducia e affidamento reciproco, che chiede una responsabilità ed un mettersi in gioco reciproci.

L’uomo riconosce il suo Dio, Dio riconosce, ama, desidera il suo uomo.

Ed è proprio a questo uomo – sul Vangelo c’è il nome di Pietro ma proviamo a leggerci anche ciascuno dei nostri nomi – che il Signore lascia in mano tutto il suo Regno, lascia in mano l’annuncio della sua Parola, lascia in mano la sua Vita!

Diciamocelo…noi non ci soffermiamo mai su questo: ci concentriamo solo sulla domanda «Ma voi, chi dite che io sia?» e ci battiamo il petto ripetendoci quanto siamo indegni perché non riusciamo a fondare la nostra vita in Dio, ci zavorriamo con il nostro accusarci di credere in Dio ma non testimoniarlo concretamente con la nostra vita…e la domanda di Gesù la trasformiamo in un dito puntato sulle nostre mancanze.

E non continuiamo mai a leggere, non gustiamo le parole che il Signore ci rivolge e che sono l’attestato di stima, di amore, di fiducia più bello che possiamo desiderare.

E’ un Dio che ci dà le chiavi di casa sua e che ci dice “senza te non posso portare a compimento nulla, ho bisogno di te per poter continuare a dare vita, desidero condividere con te tutto ciò che sono e che ho”.

San Paolo nella lettera ai Romani da cui è tratta la seconda lettura scrive: «O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!». E davvero, Signore, non capiamo come fai ad amare così tanto ciascuno di noi, noi che siamo così fragili e spesso così infedeli.

Ma nel cuore sappiamo che il Signore crede davvero nell’uomo, perché, se guardiamo alla nostra vita, così come ha fatto il salmista, vi troviamo un Dio che ascolta le parole della nostra bocca, che ascolta e risponde al grido del nostro cuore…perché la sua fedeltà è per sempre, la sua promessa è per sempre, il suo guardarci è per sempre, il suo amore è per sempre!

 

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