DIOCESI – Con la solenne celebrazione eucaristica presieduta dal Vescovo Carlo Bresciani si è conclusa domenica 26 luglio la Festa della Madonna della Marina che rimarrà nella storia e nella memoria della Città come l’edizione sottoposta a tante limitazioni a causa del coronavirus. Come tutti sanno, la festa quest’anno non è stata preceduta dalla “Peregrinatio Mariae”, come anche non si è svolta la processione di rientro della venerata immagine della Madonna dal porto alla cattedrale. Inoltre ieri, a causa delle condizioni meteorologiche, non ha avuto luogo la tradizionale processione in mare, anche se il peschereccio “Giuseppina Madre” con l’immagine della Madonna ha compiuto un breve tragitto all’interno delle acque del porto (si veda QUI). Molte insomma le circostanze avverse, che non hanno comunque minato il sentimento religioso dei sambenedettesi che hanno partecipato in maniera numerosa alla “Festa delle Feste”. La Parrocchia Santa Maria della Marina, ben conoscendo l’amore filiale dei sambenedettesi verso Maria, Stella del Mare, ha opportunamente predisposto in Piazza Nardone decine e decine di sedie e delle casse acustiche in modo tale che i fedeli hanno potuto ugualmente prendere parte alla Santa Messa, pur rimanendo all’esterno della chiesa. Alla funzione hanno preso parte il Sindaco Pasqualino Piunti e altre autorità civili e militari.

Il Vescovo Carlo nella sua omelia ha riflettuto sull’umiltà di Maria: «“Beati i miti e gli umili di cuore” (cfr. Mt 5,5). Quando Gesù enunciava questa beatitudine, aveva certamente davanti agli occhi anche sua madre, Maria. Possiamo anche dire che stesse parlando di sua madre, elogiandola. Perché, se, da una parte, dice: “imparate da me che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29), quindi parla della beatitudine che egli vive dentro di sé, dall’altra, la prima persona a cui si addice questa beatitudine è proprio Maria, la madre. È lei che, vivendo in sé questa beatitudine, ha educato anche l’uomo Gesù a queste preziose virtù umane.

Maria, se non fosse stata mite e umile di cuore, non avrebbe potuto diventare la madre di Dio. Ella, infatti, ha lasciato che lo Spirito operasse in lei le grandi opere di Dio. Mai si oppose alla volontà di Dio. Mai ne fece motivo di ostentazione, di pretese, di richiesta di riconoscimenti umani o di posti di riguardo; mai impose la sua presenza o attirò su di sé l’attenzione. Con animo mite disse di sì all’arcangelo Gabriele che le portava la proposta di Dio di diventare nientemeno che la madre di suo Figlio Gesù. Con umiltà accettò tutte le conseguenze che ne derivarono, compresa quella spada che le trafisse l’anima, come le predisse Simeone quando lei, obbediente alla legge, presentò Gesù al tempio (cfr. Lc 2, 35).

Maria, donna mite e umile, non si tirò mai indietro per quella forma di falsa umiltà che alla fine porta solo a cercare il proprio comodo, senza affidarsi alle promesse di Dio. Sarebbe forse stato più semplice per lei dire all’angelo: “non ne sono capace”, “non ne sono degna” o altre affermazioni di questo tipo, rifiutandosi agli impegnativi compiti che le venivano proposti nel nome di Dio.
La vera umiltà non è quella che porta a rifugiarci nella comodità che evita di metterci la faccia e di impegnarci fino in fondo per ciò che è bene e buono, anche se costa. È vero, non possiamo mai presumere di noi stessi, dobbiamo essere realisti con noi stessi, ma sempre accettando di impegnarci generosamente e con passione con quello che abbiamo e per quel bene che possiamo fare. Solo quando, come Maria, mettiamo il nostro poco a disposizione di Dio, egli “compie grandi opere” anche attraverso di noi e i nostri pochi mezzi. L’umiltà di Maria sta nel non attribuire a se stessa ciò che invece è opera di Dio e nel collaborare pienamente con Dio con quel poco che ha, riconoscendo che anche questo poco che ha è dono di Dio.

In un mondo fatto sempre più di pretese, in cui tutti sono tentati di pensarsi come piccoli dei a cui tutto è dovuto e che non devono nulla a nessuno; in un mondo di arrampicatori e ostentatori di se stessi, magari usando anche del nome di Dio e della Madonna per ostentare se stessi, la beatitudine di Maria, mite e umile di cuore, ci porta a riscoprire ciò che veramente è più essenziale per la vita di ciascuno di noi, per la nostra società e per la Chiesa stessa. E solo Dio sa quanto oggi questo sia necessario per il bene di tutti.

‘Umile’ fa riferimento a ‘terra’ e significa “avere e mantenere i piedi per terra”, cioè essere realisti su noi stessi, sugli altri, sul mondo e anche nella nostra vita di fede. Sì, perché anche nella vita di fede dobbiamo avere i piedi per terra, non solo, perché non dobbiamo essere presuntuosi nei confronti di Dio (e a volte siamo tentati di esserlo, quando avanziamo pretese miracolistiche e irrealistiche) e non dobbiamo essere presuntuosi neppure nei confronti degli altri, ma perché dobbiamo anche evitare di pensarci in qualche maniera esonerati dalle comuni fatiche e doveri di onestà, di giustizia, di correttezza nelle relazioni, in breve, da tutto ciò che la vita umana richiede a ciascuno.

Maria non ha chiesto di essere esonerata dalle umili e povere condizioni di vita comuni a tutti gli altri, non ha mai pensato, per esempio, di poter essere esonerata dai doveri del pio fedele: va al tempio e porta anche Gesù al tempio. Dopo la resurrezione di Gesù, la troviamo in preghiera con tutti gli altri discepoli, umile discepola tra i discepoli. Non ha mai vantato alcun privilegio in virtù dell’essere lei la madre del Redentore. Mai impose la sua presenza, né mai si vantò di quello che aveva fatto. L’abbiamo sentito anche nel brano delle nozze di Cana: lei ha fatto molto, non si è tirata indietro di fronte a una situazione difficile e di emergenza che avrebbe potuto rovinare la festa e far fare brutta figura ai novelli sposi. Senza dire nulla a nessuno, con grande discrezione (oggi potremmo dire: non si è precipitata a parlarne sui social, magari con commenti poco benevoli), è intervenuta parlandone solo a Gesù. Ha trovato la soluzione e poi si è ritirata lasciando tutta la scena a Gesù. Non si è più intromessa. L’umile è colui che sa tirarsi indietro dopo aver fatto tutto quello che poteva, lasciando spazio agli altri, quando è giunto il momento di lasciare. E per tutti noi ci sono momenti in cui dobbiamo lasciare per il bene nostro e per quello altrui.

In un mondo in cui l’arrivismo sembra imperare in ogni dove, in cui sulla mitezza sembra trionfare il vociare superbo e sguaiato e, talvolta, perfino l’incitazione all’odio, dobbiamo tutti riscoprire e praticare la beatitudine dei miti e umili di cuore. Abbiamo bisogno del mite che non rinuncia a proporre, ma prima ancora a vivere, i valori fondamentali della vita, ma sempre senza aggressività, invadenza e presunzione nei confronti di nessuno; e abbiamo anche bisogno dell’umile che sa riconoscere la realtà di se stesso, sa farsi carico della terra che calpesta con i suoi piedi e, mantenendo i piedi per terra, sa che non si può pretendere l’impossibile o vivere al di sopra delle proprie possibilità. L’umile è colui che sa accettare la realtà e sa che non può che fare solo un passo dopo l’altro: sa che non può volare senza ali e non può avere o pretendere ciò che non si è onestamente guadagnato o costruito a fatica.

Disse S. Agostino: “È stato l’orgoglio che ha trasformato gli angeli in diavoli; è l’umiltà che rende gli uomini uguali agli angeli”. Chi perde la misura di sé e pretende di essere un piccolo dio, si ritrova solo, arrabbiato con Dio, con il mondo e con se stesso. Esattamente l’opposto della beatitudine del Vangelo.

Il mite e umile di cuore è colui che sa vivere dentro la propria realtà, consapevole dei limiti imposti dalla realtà oltre che dei propri limiti personali; è colui che non vive al di sopra delle proprie possibilità, sa portare il peso delle condizioni in cui si trova a vivere. Oggi, per esempio, per noi sono le condizioni che ci impone il covid 19 che ci ha impedito la processione in onore di Maria, Madonna della Marina. Le abbiamo accettate per senso di responsabilità, consapevoli che non possiamo mai sottrarci ai comuni doveri di ogni cittadino. Siamo certi che questo è il vero modo di venerarla, poiché lei stessa non si è mai sottratta ai doveri imposti dall’appartenenza al suo  popolo.
L’umile è colui che, con pazienza, costruisce passo passo quel nuovo che solo con l’aiuto di Dio può venire all’esistenza. È quello che ha vissuto e fatto Maria, la mite dal cuore umile che ha saputo farsi nientemeno che dimora di Dio, restando l’umile e semplice fanciulla di Nazareth. Impariamo anche noi dalla madre nostra Maria e avremo trovato la strada verso la vera beatitudine che nessuno e nessuna condizione potrà mai toglierci. Che Maria ci insegni e ci accompagni sulla via dell’umiltà e della mitezza, quella via  che l’ha resa beata e può rendere beati anche noi».

Al termine della celebrazione è stata concessa l’indulgenza plenaria.

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