Maurizio Calipari

Gettiamo lo sguardo a qualche settimana fa: Covid-19 e conseguente lockdown. Una situazione assolutamente inedita per la nostra generazione, con molteplici e, talvolta, inaspettati effetti. Lo stress – a vari livelli – si è impadronito della maggior parte di noi, crescendo col trascorrere dei giorni. Poi, quasi a mo’ di consolazione, esperti di vari settori hanno cominciato ad evidenziare dati osservazionali positivi, mai registrati prima, direttamente o indirettamente generati dal nuovo “stile di vita” che il lockdown ci ha obbligati ad assumere. Alcuni esempi: inquinamento atmosferico diminuito, traffico pressoché azzerato, in molti ambienti naturali colonizzati dall’uomo gli animali hanno riabitato i loro spazi vitali originari.
Adesso, una nuova ricerca (pubblicata sulla rivista “Scientific Reports” ) ha messo in luce come, durante il lockdown, nell’ampia area del Nord Italia sia diminuito molto il cosiddetto “rumore sismico di fondo”, ovvero quelle vibrazioni del terreno captate dagli strumenti ma non avvertibili dall’uomo. Lo studio – intitolato “The 2020 coronavirus lockdown and seismic monitoring of anthropic activities in Northern Italy” – è opera di ricercatori italiani e francesi, in collaborazione col nostro Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), grazie al quale il nostro paese può vantare (come pochi altri) una rete sismometrica tra le più avanzate al mondo, dotata di sensibili strumenti distribuiti su tutto il territorio nazionale, in grado di misurare ininterrottamente oscillazioni anche microscopiche del suolo.
Durante il periodo di lockdown, il Nord Italia – prima fra le regioni europee – ha subito il blocco pressoché totale di gran parte delle attività industriali e dei trasporti.
“Le circostanze inedite del lockdown – spiega Jacopo Boaga, del Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova e co-autore dello studio – e la possibilità di accedere a un database così ampio, ci hanno permesso per la prima volta di misurare l’impatto che le attività umane hanno sulle vibrazioni sismiche della superficie terrestre. Le nostre osservazioni mostrano che il rumore sismico di fondo si è abbattuto di circa il 50%: un effetto molto grande che ha sorpreso sia noi che molti nostri colleghi. Il confronto tra segnale registrato prima e durante il lockdown ci ha permesso di identificare la quantità e la qualità del rumore sismico non dovuto a cause naturali (come sismi, movimenti gravitativi, sollecitazioni meteo-marine, ecc., naturalmente non influenzate dal lockdown), ma generato dall’uomo e dalle sue attività (fabbriche, aeroporti, traffico stradale e ferroviario, flussi turistici, ecc.)”.
L’importanza di questa ricerca, condotta in collaborazione tra Università di Padova, Istituto Isterre di Grenoble (Francia) e Ingv, sta nell’aver potuto confermare che le reti sismiche moderne possono essere utilizzate per monitorare, oltre all’attività tettonica del pianeta, anche le attività umane. Un dato davvero importante questo, che apre sicuramente nuove prospettive nello studio dell’impatto dell’uomo sull’ambiente, e nello sviluppo di nuove strategie per mitigarlo. E noi tutti ci auguriamo che gli studiosi possano al più presto metter a frutto tali evidenze, magari… senza dover attendere un nuovo lockdown!

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