DIOCESI – Domenica 31 maggio il Vescovo Carlo Bresciani ha presiduto nella Cattedrale della Madonna della Marina la Santa Messa nella Solennità della Pentecoste. Per Mons. Bresciani si tratta della prima funzione che ha visto una numerosa presenza di fedeli da quando è stato di nuovo possibile celebrare la Santa Messa col popolo. Scrupolose le misure per prevenire il contagio da covid19: gel igienizzante all’ingresso, obbligo di mascherina per tutti i fedeli, posti distanziati, sanificazione dei microfoni subito dopo la proclamazione della Parola di Dio, scambio della pace omesso, mani disinfettate del celebrante prima della distribuzione dell’Eucaristia che è portata ai fedeli e distribuita sulle mani, raccolta delle offerte al termine della celebrazione.

Durante la sua omelia il Vescovo Carlo ha prima di tutto descritto il male dell’individualismo: «La vita non è nelle nostre mani. Nessuno si dà la vita da solo! Ma c’è qualcosa di molto più grande che dobbiamo comprendere se vogliamo entrare esattamente in quel mistero della fede e della vita che stiamo celebrando oggi. Lo sappiamo molto bene: non basta essere vivi! Certo la vita è un gran dono ed è un dono di Dio, ma non basta essere vivi. Si può essere vivi e disprezzare la vita. Si può essere vivi e rifiutare la vita. Si può essere vivi e domandarsi: “Ma che senso ha la vita?”. Non basta essere vivi: occorre qualcosa di più. Comprendiamo che la materia da sola non basta. Che cosa dà la vitalità? E cosa dà senso alle relazioni? Una cosa sola: ciò che corre dentro quelle relazioni, ciò che si scambia dentro quelle relazioni. Ci possono essere relazioni nelle quali ci si scambia soltanto chiacchiere e ne abbiamo piena la testa. Ci possono essere delle relazioni nelle quali ognuno pensa al proprio interesse individuale, al proprio interesse di parte. E così il mondo è diviso, le famiglie sono divise e le comunità sono divise! Quello non è essere vivi, è essere morti: credono di essere vivi, ma sono morti. Abbiamo bisogno dello Spirito che ci faccia entrare in una relazione vera innanzi tutto con Dio. Abbiamo bisogno di questo Spirito che ci tolga da quell’individualismo che pensa che ognuno si fa da solo. Ci è stato ripetuto tante volte: “il farsi da solo”, “l’uomo che si fa da solo”. Nessuno si fa da solo perché tutti noi ci facciamo dentro le relazioni nelle quali noi viviamo. Ci facciamo dentro le relazioni familiari, dentro le relazioni coniugali, dentro le relazioni sociali: è lì che ci facciamo!».

Il Vescovo Carlo ha poi proposto la Trinità come antitesi all’individualismo: «Cos’è che dà senso alle relazioni? È ciò che la Solennità di oggi ci presenta e ci dice: lo Spirito che è spirito d’amore, che è la relazione d’amore fatta persona, personificata, quella relazione d’amore che corre tra il Padre e il Figlio e che fa sì che il Padre e il Figlio siano una cosa sola. Comprendiamo quanto abbiamo bisogno di questo Spirito Santo che è Spirito d’amore. Perché Gesù è mandato dallo Spirito, incarnato per opera dello Spirito, guidato dallo Spirito nella volontà del Padre. Lo Spirito non chiude la Trinità su se stessa dicendo: “Stiamo bene qui noi tre”».

Infine il Vescovo Carlo ha descritto come lo Spirito Santo generi un “Noi” che sconfigge l’individualismo e ha fatto esplicito riferimento al senso di comunità che è stato fondamentale nell’affrontare l’emergenza coronavirus: «Questo ci dice una cosa grande su come noi possiamo immergerci in questo Mistero di Fede che ci salva e ci salva solo se lo riconosciamo in questa maniera. Non basta che ci consoliamo nella nostra relazione con Dio che comunque non è una cosa da poco. Lo Spirito proietta Gesù – passatemi il termine – fuori dalla Trinità e lo manda nel mondo da noi che siamo dei poveri pezzenti davanti a Dio, ma lo Spirito manda e vuole l’amore nei nostri confronti. Ed è questo che fa l’unità. Che cosa fa l’unità? Non quando ci ergiamo col nostro “Io”, ma quando impariamo a dire “Noi” nello Spirito. Abbiamo visto anche nell’esperienza drammatica che in parte sembra – speriamo e preghiamo per questo – che sia alle nostre spalle. Se non avessimo saputo dire almeno in qualche maniera “Noi”, quale disastro immenso avremmo dovuto passare! Solo perché abbiamo saputo dire “Noi”, ci è costato, ma abbiamo detto “Noi” nell’amore, un “Noi” che ci è costato non trovarci a celebrare insieme, ma quello era amore di Dio. Quello era vivere la fede! Certo, in una maniera diversa, che ci è costata, ma quello era vivere la fede, perché una fede che non sa amare, che si disinteressa degli altri, una fede che pensa solo a se stessa è tutt’altro che quella dello Spirito».

La celebrazione si è conclusa con il canto del “Regina Caeli”.

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