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DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del monastero Santa Speranza in San Benedetto del Tronto.

Scrive Paolo nella prima lettera alla comunità di Corinto: «Fratelli, nessuno può dire “Gesù è il Signore!”, se non sotto l’azione dello Spirito Santo».

E’ davvero così…se non fosse venuto lo Spirito, il mondo e la Chiesa non avrebbero mai capito che la vicenda di quell’ebreo di Nazareth, morto su una croce, era più che una questione di provincia, storicamente priva di interesse. Essa era, anzi, davvero incomprensibile.

La pretesa di quell’uomo di avere, con un po’ di quella sua sofferenza sulla croce che, in fondo, mille altri hanno dovuto subire, addirittura riconciliato l’universo con Dio, liberato dai suoi peccati ogni singolo uomo e di averlo salvato dalla morte eterna, questa pretesa era davvero troppo fantastica per essere presa sul serio.

Quale allora la strada? Che cosa era necessario per attuare questa rottura degli schemi? Che egli ci desse il suo Spirito, che il Signore oltrepassasse le frontiere tra l’io e il tu, e riversasse qualcosa del suo “io” nel nostro “io”.

E così non accade più che Dio rimane Dio e l’uomo rimane uomo. Non accade, nella Pentecoste, che Dio si manifesta un po’ di più di altre volte così come non accade che l’uomo, con questa esperienza, veda Dio in una nuova straordinaria forma…avviene che l’uomo, con il dono dello Spirito, entra nello spazio intimo di Dio, là dove egli si conosce e sa delle sue profondità e dei suoi segreti, nella intima soggettività di Dio…perché possa pensare con i pensieri di Dio, amare con l’amore di Dio. Perché solo chi entra nell’interiorità, chi si unisce nel credere e nell’amare, può anche comprendere.

E’ quello che sperimentano i discepoli che, come dice il Vangelo, sono nascosti, a porte chiuse nel luogo in cui si trovavano.

La Buona Notizia è che Gesù, attraverso il dono dello Spirito, passa attraverso tutte le nostre porte chiuse per raggiungerci ed aiutarci ad aprirle una dopo l’altra, per aiutarci cioè a discernere ciò che è buono e ciò che non serve, a farci comprendere che la storia è diventata nuova.

Sì…è diventata nuova come per i discepoli: da una storia che pensavano finita dopo la morte di Gesù ad una storia nuova che comincia coinvolgendoli da protagonisti: «…tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi».

Il mistero della Pentecoste non è un mistero di chiusura ma di apertura per tutti e a tutti.

Noi siamo, su questa terra, apertura al cielo per ogni uomo – «…Parti, Medi, Elamiti; abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadocia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e proseliti, Cretesi e Arabi…» – e ciascuno di noi è chiamato a testimoniare qualcosa dello splendore della gloria con cui il Figlio di Dio è apparso, inviato dal Padre, qualcosa di quell’abissalità di amore senza perché, che non si basa sui calcoli, è che per l’uomo di questo mondo è occasione di incessante stupore.

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