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Sorelle Clarisse: “Nella nostra quotidiana mancanza di fedeltà c’è sempre un gallo a cantare”

DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del monastero Santa Speranza in San Benedetto del Tronto.

Gesù entra a Gerusalemme! Le folle degli ebrei, portando rami d’ulivo e stendendo mantelli lungo la strada, vanno incontro al Signore e acclamano a gran voce “Osanna nell’alto dei cieli!”.
Forse quest’anno ci sentiamo un po’ orfani di tutto questo: del fruscio delle palme mentre cerchiamo di prendere le più belle, del vociare festante dei bambini fieri di avere un ruolo di primo piano nella celebrazione, del lento ma maestoso procedere a piedi, cantando, verso le nostre chiese per iniziare la solenne Settimana Santa.
Ma oggi è, comunque, la Domenica delle Palme, la domenica nella quale più che mai vogliamo gridare, come le folle di Gerusalemme, «Benedetto Colui che viene nel nome del Signore».
Allora, come benedire Cristo che viene, come dire bene di Lui…anche senza palme, anche senza canti, anche senza mani alzate al cielo?
Leggiamo la prima lettura: «Il Signore mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato».
Una parola allo sfiduciato…una parola di consolazione, di amore, una parola che sa di condivisione, di vicinanza, una parola che possiamo donare perché siamo discepoli, perché ci fidiamo di quel Dio che ha dato a ciascuno di noi, innanzitutto, una Parola di consolazione, amore, condivisione, vicinanza. Una parola per l’altro che diventa benedizione al Signore e benedizione del Signore per chi ci è accanto.
Continuiamo a leggere: «Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli. Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro».
Aprire l’orecchio, farlo attento ad una Parola che, ogni giorno, il Signore dona a ciascuno di noi, non resisterle ma affidarsi a Lei, certi della sua custodia, della sua protezione, del suo assisterci passo dopo passo.
Non è facile questo cammino di benedizione…leggiamo nel Vangelo che Giuda, uno dei discepoli, tradisce questa Parola; Pietro, Giacomo e Giovanni si addormentano davanti a Lei; Pietro arriverà a dire, per ben tre volte, di non averla mai conosciuta; la folla, che fino a poco prima la osannava, ora la condanna e vuole il suo silenzio!
Con le palme in mano o senza come oggi, ci presentiamo al Signore bisognosi della sua Parola ma pur sempre carichi delle nostre fatiche, delle nostre pesantezze, dei nostri limiti, della nostra umanità!
Ma tutto questo non significa “mancanza di benedizione”, “impossibilità di benedire”.
Ce lo conferma San Paolo, nella seconda lettura: «Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini». Il Signore non disprezza la nostra umanità, anzi, l’ha scelta per poterci accompagnare e poter condividere la nostra storia! Ama la nostra umanità…e tutto quello che comporta! La nostra vita, la nostra storia è già di per sé benedizione a Dio, un dire bene di Dio!
Ricordiamoci una cosa allora: nella nostra quotidiana mancanza di fedeltà c’è sempre un gallo a cantare, come per Pietro la notte in cui ha tradito Gesù; un gallo che ci viene a dire non quanto siamo sbagliati ma che ci annuncia che un’alba nuova sta sorgendo, un giorno nuovo sta arrivando, ci viene incontro, cioè, una nuova possibilità di svegliare l’orecchio all’ascolto di quella Parola che rimane fedele per sempre!
Allora buona domenica delle Palme, una domenica colma di vita e della benedizione che, ogni nostra piccola grande vita, porta con sé.