Alessandro Di Medio

La forzata (e doverosa) reclusione di questi giorni sta significando per molti la riscoperta (o la scoperta) di molti aspetti che nella vita familiare nella sua versione ideale e oleografica dovrebbero essere ovvi, ma da tempo ormai non lo sono affatto: tra questi, c’è senz’altro la preghiera in famiglia.

Sia chiaro, se di base la fede, o almeno la religione, è un elemento del tutto assente in una casa, non sarà certo l’attuale crisi a farla spuntare dal nulla; laddove però almeno qualche scintilla di spiritualità, di senso religioso, covava sotto le ceneri della più grigia ferialità, questi giorni strani e incerti stanno riuscendo a sprigionare qualcosa di nuovo.

Tanti elementi concorrono: la quarantena, la preoccupazione del domani, la comprensione di quanto è essenziale rispetto a una possibile sofferenza… fatto sta che in non poche famiglie si sta riscoprendo la preghiera. Magari in modo cauto e un po’ imbarazzato, magari accompagnando questi momenti con un “Perché no?” – ma il fatto rimane: gli italiani si stanno scoprendo capaci di pregare insieme ai loro cari.
Da qui si spiega il successo della proposta della Cei del 19 marzo, seguito da oltre 4.200.000 italiani, che riecheggia nell’appello fatto dal Papa per pregare insieme oggi il Padre Nostro e nell’iniziativa proposta dai media della Cei di unirsi di nuovo per recitare tutti insieme il Rosario questa sera.

“Cos’è una preghiera se non il desiderio che gli eventi della propria vita si raccolgano a dare forma a una storia, qualcosa che dia un senso a eventi che si sa che possiedono un significato?”. Scriveva Douglas Coupland in Generazione A. Forse alle famiglie serve questo, oggi: poter dare forma positiva e salvifica a un momento di grande incertezza, e questa forma luminosa, fatta di richiesta di aiuto, di speranza, e di partecipazione a un’esperienza di popolo, di Corpo, la dà la preghiera condivisa.

Nulla può fare sentire uniti come pregare insieme.

Inutile dire che gran parte del merito è dei bambini: “con la bocca di bambini e di lattanti”, come ci ricorda il Salmo 8. I bambini che, privati del catechismo, mettono i propri genitori nella necessità di seguire con loro catechesi online, momenti di preghiera in streaming, e tutto quello che le parrocchie si stanno inventando pur di non perdere un contatto.
Da quando il culto pubblico è impedito, la domenica alle 11.30 organizzo una breve catechesi per i bambini del catechismo delle Comunioni, seguita da un momento di adorazione, in cui espongo il Santissimo perché almeno la Sua immagine, il Suo candore, raggiunga quanti purtroppo per ora non possono riceverlo materialmente. È commovente sentire le vocine dei bambini che dalle casse del computer riempiono la chiesa vuota – ma sentire le voci dei papà e delle mamme che si uniscono a loro, papà e mamme che magari prima lasciavano i figli a catechismo come li avrebbero lasciati a danza o a calcetto, è ancor più commovente.

Sarebbe bello se in queste famiglie, una volta assaggiato il sapore buono di questi momenti, che porta la condivisione a un livello nobile e mai banale, la preghiera rimanesse anche a pandemia finita, e la preghiera di richiesta lasciasse il posto a quella di ringraziamento.

Concludo con un aneddoto condiviso ieri da un amico che attualmente vive in Turchia: “Nel XIX secolo il Califfo musulmano Al-Hakim decretò la chiusura di tutte le chiese in Egitto per nove anni. Era un periodo di grande angoscia per tutti i cristiani. Un giorno, il Califfo stava camminando per le strade dove risiedevano i cristiani e ha sentito le loro voci lodare e pregare in ogni casa. Al che disse: ‘Aprite le loro chiese e che preghino come vogliono. Volevo chiudere una chiesa in ogni strada. Ma oggi ho scoperto che da quando ho emanato questo decreto, una chiesa è stata aperta in ogni casa’”.

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