COLONNELLA – L’emergenza coronavirus attanaglia ormai l’intera penisola e una delle categorie più esposte al rischio di contagio è senza dubbio quella dei medici che da giorni sono costretti ad accettare turnazioni serrate e a vivere situazioni difficili, spesso in un clima di afflizione e mestizia che tuttavia non deve essere trasmesso ai pazienti. Per conoscere da vicino cosa accade davvero nelle grandi città abbiamo chiesto a tre giovani medici colonnellesi fuorisede, che svolgono la loro attività in tre grandi città italiane, di raccontarci la loro esperienza: il Dott. Piergiorgio Traini, il Dott. Enrico Di Sabatino e la Dott.ssa Sara Cucco.

Inauguriamo questa serie di chiacchierate con il Dott. Piergiorgio Traini, che ha 35 anni ed è all’ultimo anno di Specializzazione in Chirurgia Generale e d’Urgenza; vive a Torino da 5 anni e svolge la sua professione all’Ospedale Molinette. È stato volontario ed istruttore di Primo Soccorso per 15 anni presso la Croce Verde di Villarosa con la quale ha partecipato ai primi soccorsi a L’Aquila a seguito del sisma del 2009.

Com’è la situazione a Torino?
“In questo momento la situazione è, a dir poco, strana: esco la mattina presto e rientro a casa nel tardo pomeriggio – a maggior ragione ora che siamo in pochi in reparto e il lavoro è molto – e le strade sono sempre semivuote; non ho idea di cosa succeda oltre la zona delle Molinette (abito a 200 metri), da 10 giorni faccio solo casa – reparto e viceversa. Non ho contatti con il resto della città.
Per quanto riguarda i numeri del contagio in Piemonte ed in particolare a Torino, prediligo i canali di informazione classici e non chiedo mai ai colleghi perché otterrei informazioni non filtrate, impregnate di una soggettività che potrebbe in qualche modo alterare il mio modo di affrontare in maniera obiettiva e un poco distaccata l’assistenza ai pazienti. Ciò nonostante, mi giungono notizie di colleghi infettati nel mio e in altri ospedali, qualcuno asintomatico, altri ricoverati con sintomi lievi e anche purtroppo di un anestesista ricoverato in rianimazione intubato.”

Come è cambiata la vita in reparto da quando è iniziata l’emergenza coronavirus?
“Nel mio reparto – come da decreto – stiamo assicurando soltanto l’attività chirurgica oncologica e d’urgenza, per ridurre al minimo il rischio, poiché il paziente chirurgico ospedalizzato – ancor più se oncologico – in caso di eventuale contagio potrebbe avere ripercussioni serissime. Tante sono le precauzioni da noi adottate: l’uso della mascherina, la distanza tra noi e con i pazienti (fatto salvo la visita a letto che avviene sempre il più sterilmente possibile) e la creazione di due equipes che lavorano a settimane alterne. Ma la cosa che forse più di altre mi tocca è il fatto di aver dovuto impedire le visite dei parenti al letto dei pazienti: vedo e sento la loro sofferenza. Fortunatamente vivo con la mia fidanzata Francesca e questo rende meno opprimente l’internamento obbligato: la sera ci raccontiamo la giornata, pensiamo alle prospettive future e regolarmente chiamiamo a casa per rassicurare i nostri.”

Come sta vivendo la lontananza da casa e dai suoi cari?
“Mi mancano i miei posti, i miei cari, gli scorci di Colonnella, il lungomare di San Benedetto, le colline della Val Vibrata, gli arrosticini, il dialetto ed i miei amici. Ma neanche per un secondo ho avuto la tentazione di tornare a casa, perché metterei a rischio i miei affetti. Allora penso alla festa del paese a luglio, quella della Madonna del Suffragio, e alle sagre agostane che, attualmente, sono la prospettiva più prossima di tornare a casa. E la nostalgia si attenua.”

Che messaggio si sente di dare ai nostri lettori?
“Chiedo a tutti di attenersi fedelmente alle indicazioni che sono state date dalla protezione civile. Ho saputo di un caso di positività da Covid-19 a Colonnella e capisco lo stato d’animo dei miei conterranei. Tuttavia ora è importante non fare la caccia alle streghe e soprattutto imparare dalla lezione del nord Italia: qui siamo stati colti impreparati,ma voi avete due settimane di anticipo e non è poco. Perciò non sottovalutate il rischio e soprattutto non abbiate la presunzione di pensare che la gioventù sia immune: nessuno è immune, e, sebbene si possa essere asintomatici, si è comunque vettori con il rischio di trasmettere il virus a persone più fragili come gli anziani o soggetti con gravi co-morbilità. Se non volete farlo per voi, fatelo per chi amate.”

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