Pietro Pompei

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – All’avvicinarsi della festa di S.Giuseppe con questa crisi da “Corona virus”  che ci attanaglia tanto da farci dimenticare l’altra altrettanto terribile della “disoccupazione”, propongo la testimonianza di un caro amico che nella disperazione si è affidato al Santo Patrono dei Papà.

Teresa d’Avila nel cap. VI dell’Autobiografia così scriveva: “Io presi per mio avvocato e patrono il glorioso S. Giuseppe e mi raccomandai a lui con fervore. Questo mio padre e protettore mi aiutò nelle necessità in cui mi trovavo e in molte altre più gravi, in cui era in gioco il mio onore e la salute dell’anima. Ho visto che il suo aiuto fu sempre più grande di quello che avrei potuto sperare”).

Così il mio Amico: “Mi è stata chiesta una testimonianza del mio vivere cristiano come padre, nella festa di S.Giuseppe,  in un momento della vita particolarmente difficile, avendo perso il lavoro e posto in cassa integrazione e adesso si è aggiunta la crisi del “corona virus”.

Che posso dire? Spesso mi ritrovo a guardare i miei due bambini con il pensiero rivolto al futuro e non trovo nessuna scappatoia in un vuoto senza speranza. Un tempo si parlava  di flessibilità, come se fossimo oggetti buoni per tutti gli usi. Ma poi flessibili a fare che cosa, se tutte le domande cadono in un vuoto dalla risposta ripetitiva :in questi tempi e con  questa crisi, non possiamo assumere, anzi fra poco anche noi siamo costretti a licenziare.

L’altro giorno mio figlio più piccolo mi chiedeva come sarebbe stato grande l’uovo di Pasqua. Dalla mia espressione ha capito subito che quest’anno forse non ci sarà un uovo di Pasqua. Ha avuto una strana reazione, è scappato in camera piangendo e sbattendo la porta. Mi ha fatto terribilmente male. Mi sono ritrovato poverissimo non solo di cose, ma anche di tutti quei valori ai quali un tempo venivamo educati, come la rinuncia. Che educazione ho dato ai miei figli se uno di loro pensa alla Pasqua in rapporto alla grandezza o meno dell’uovo di cioccolata? Quando si dice la disperazione! Molti babbi preferiscono rinunciare alla vita che dare risposte a domande così devastanti. La società è spicciativa ponendo sulla bara il cartellino: era depresso.

Nel pieno delle forze, nei pochi momenti rubati alla televisione, mi confidavo con mia moglie sul futuro dei nostri bambini che vedevo realizzati secondo le regole dettate da una società dell’avere più che dell’essere. Ad un tratto tutto questo svanisce come un sogno, la dura realtà ti impedisce addirittura di dormire e ti ritrovi a centellinare un sussidio che non è più in grado di soddisfare le richieste a cui sono stati abituati i nostri figli.

Negli anni di scuola, ricordo fra i tanti libri ce n’era uno singolare anche nel titolo: Quale Futuro? Le prospettive erano molte, le speranze procedevano al galoppo. Oggi non sono più in grado neppure di farmi la domanda. La disoccupazione è entrata nel nostro linguaggio giornaliero come una qualsiasi altra parola, non è così perché gli ammortizzatori veri non sono quelli chiamati erroneamente sociali, ma quelli degli autentici valori dell’uomo, non ci sono più e ci vuole il sacrificio di più generazioni per poterli riacquistare.

Privarsi di qualcosa con tutte le sollecitazioni che ci vengono da una pubblicità senza freni e portata sottilmente ad alimentare in noi il sentimento dell’invidia, è proprio una bestemmia. Una situazione come questa non favorisce certo l’approccio religioso. Si guarda alla religione come concausa di tanto malessere. I Santi poi più che venerati vengono invidiati come quelli che trovandosi in uno stato di beatitudine hanno altro da fare che venirsi a prendere le nostre disgrazie.

Con S. Giuseppe poi mi sono conosciuto solo col nome, perché il 19 marzo è stato sempre il giorno degli auguri e dei regali. Con i Santi, in genere fin da bambino, ho avuto sempre un rapporto difficile, me li hanno presentati sempre troppo perfetti per poterli accostare. Erano come quei compagni di scuola bravissimi e di conseguenza antipatici.

Di S. Giuseppe mi sono ricordato un giorno in cui non riuscivo a trovare una via di uscita per pagare diverse bollette urgenti. Una Suora, buona amica di famiglia, impegnatissima nel sociale e nella carità spesso mi raccontava delle difficoltà incontrate nel gestire i poveri, e quando non ce la faceva andava dal Santo, così mi diceva, di cui tu porti il nome: “ Ne ha passate tante, sa come fare”. Ho provato a fare lo stesso. Non ho certo pensato di ottenere un miracolo, ma quella calma  che trovai sapendo di aver un amico a cui rivolgermi, mi aiutò a trovare una soluzione. Da quel giorno S. Giuseppe è nei miei pensieri e nelle mie preghiere. Ho cercato di conoscerne meglio la vita ed ho appreso le tante sofferenze sopportate nel difendere Gesù e la Madonna.. Sto riacquistando coraggio, seguendo il compito che il Signore mi ha affidato nel proteggere e sostenere la mia famiglia. Come S.Giuseppe mi affido alla Provvidenza anche se, come Lui, le difficoltà mi appariranno come un sogno”.

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