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L’angoscia di Enea

Di Paolo Bustaffa

Ci sono a Roma e a Genova, come in altre città, le statue che sulle piazze o nei musei ritraggono la fuga da Troia di Enea con il vecchio padre Anchise sulle spalle e il figlioletto Ascanio per mano.

E’ un’immagine lasciata da Virgilio che è ben impressa nella memoria. E’ un ritratto che oggi richiama la tragedia delle migrazioni forzate e nello stesso tempo propone un pensiero sul legame tra le generazioni.

Sostando di fronte a quelle statue in piazza Bandiera a Genova il poeta Giorgio Caproni scrisse di Enea:“Era un esule in cerca di una terra nuova, non sapeva dove sbarcare e quindi veramente tragico, no?”.

Sono tre volti ritratti dallo scultore che folgorarono il poeta e lo portarono a scrivere pagine che bussano alla porta della coscienza. E’ nei volti di essere umani che attraversano un mare che oggi si legge l’angoscia nell’incontro inatteso con il rifiuto, con la disumanità.

A 30 anni dalla morte vengono ripubblicati gli scritti di Caproni sui riflessi del racconto virgiliano sulla vita personale e sulla vita sociale: questa scelta propone, attraverso la narrazione di una storia lontana, la lettura culturale del fenomeno migratorio di oggi. Significativo che il poeta lo definisse “una nuova Eneide della contemporaneità”.

Viene chiesto dunque un supplemento di conoscenza e coscienza di fronte al migrare in cerca di speranza. L’intento della ripresa degli scritti di un poeta è di far comprendere la fuga nella sua reale dimensione umana e di toglierla dalla palude delle strumentalizzazioni politiche, delle affermazioni demagogiche, dalle semplificazioni illusorie.

E’ la cultura che può aiutare l’uomo occidentale a liberarsi, di fronte alla fuga dei nuovi Enea, da un realismo senz’anima.

Un secondo messaggio che viene da Enea, Anchise e Ascanio è il rapporto tra le generazioni: sulle spalle il padre cioè il passato e per mano il figlio, cioè il futuro. Nessuno può fare a meno dell’altro.

Può accadere però che i ruoli cambino e il nonno prenda sulle spalle il nipote per aiutare il figlio a camminare.

In un paesino della Toscana, Romano Carletti di 84 anni ogni giorno ha accompagnato a scuola in auto il piccolo Jafar, di origine macedone e non vedente, per consentire al padre di lavorare. La madre non ha la patente di guida e così ogni giorno lui percorre 120 chilometri tra andata e ritorno. Non importa se il piccolo non è suo nipote e il padre non è suo figlio: sono persone, sono parte dell’umanità. Lui ha risposto a una domanda di speranza.

Se ne è parlato nell’autunno scorso quando a Romano Carletti è stato assegnato il premio “Nonno dell’anno”. Se ne parla anche oggi perché non si è nonni solo per un anno. Se ne parla anche oggi perché la sua é una di quelle testimonianze che dicono quanto bene ci sia in questa società e nello stesso tempo richiamano con severità alla politica e alle istituzioni il dovere di rispondere all’angoscia di Enea.