Giù le mani dai Re magi! Per evitare tante altre fantasticaggini  sui Re magi mi permetto di riproporre un interessante articolo pubblicato da Franco Cardini su Avvenire.

Il Vangelo di Matteo non inventa nulla.
La tradizione fu poi rielaborata in età medievale, dopo la «translatio» delle reliquie da Milano a Colonia e con la «Legenda aurea» Le figure dei «magi» sono davvero esistite: erano gli astrologhi sacerdoti del culto zoroastriano, religione ancor oggi viva tra l’Iran e l’India.
Anche la stella cometa finisce nel mirino

Rieccoci al tormentone. Sia ricerca dello scoop sensazionalistico, sia nuovo sussulto del diavoletto agnostico-laicista, tutti gli anni la buona vecchia tradizione cristiana viene insidiata da ‘sensazionali’ scoperte che la minerebbero alle radici: e che poi si rivelano, sistematicamente, o scoperte dell’acqua calda o vere e proprie bufale. È di scena un articolo della rivista Focus-Storia, che chiama in causa due illustri studiosi, Mauro Pesce (studioso di storia del cristianesimo che dovrebb’essere noto anche al grande pubblico per ben altri meriti che non quello di aver cofirmato un libro con Corrado Augias) e Francesco Scorza Barcellona, raffinatissimo conoscitore della problematica degli apocrifi evangelici. Sostiene quindi la rivista divulgativa diretta da Sandro Boeri che i ‘re’ magi, noti dal racconto evangelico di Matteo, 2, 1-2, non sarebbero forse mai esistiti: l’evangelista Matteo è l’unico dei quattro testi ‘canonici’ a parlarne; il contesto del racconto di Matteo sembrerebbe indicare piuttosto un «artificio letterario ­propagandistico », un messaggio lanciato ai non-ebrei (i quali potevano essere attratti dal fatto che il tanto atteso Messia si fosse rivelato a degli astrologi-sacerdoti pagani prima e piuttosto che non agli ebrei stessi) e al tempo stesso sforzarsi di far quadrare la notizia dell’avvenuta nascita del Messia con le profezie dei tributi che gli sarebbero stati recati ‘dall’Arabia’ (e si vedano Salmi, 72/71, 10-11, 15 e Isaia, 60, 6). Da dove derivano quindi, conclude lo scoop, tutti i dettagli e le cianfrusaglie della tradizione: che i magi fossero ‘re’, che fossero tre, che avessero dei nomi precisi, che viaggiassero in carovana eccetera? La risposta – e qui gli studi di Scorza Barcellona sono fondamentali – è evidente: dai tardivi, fantasiosi vangeli apocrifi (cioè di dubbia tradizione e, per la Chiesa, di non accertata ispirazione divina), che la tradizione cristiana, tanto latina quanto greca e orientale, ha sempre tenuto a debita distanza e che sono sovente frutto di elaborazione ereticale (soprattutto monofisita e nestoriana). Anche la povera cara stella cometa riceve la sua porzione di mazzate: non se ne parla nemmeno; il corpo celeste che per brillantezza ha la maggior probabilità di sostenere quella parte è la cometa di Halley, che però apparve nell’87 e poi nel 12 a.C. per tornar visibile solo nel 66 d.C.
Insomma, se  Focus-Storia avesse ragione, sarebbe una bella batosta per noialtri cristianucci che ci apprestiamo a fare il presepio. Ma allegri: niente paura. Siamo solo a metà strada tra la scoperta dell’acqua calda e la bufala assoluta. Anzitutto, che i magi di Matteo non fossero re, che non fossero tre, che non avessero nomi precisi eccetera, lo sapevamo da tempo. Si tratta di tradizioni stratificatesi grosso modo tra VIII e XII secolo d.C. Il fatto è che i vangeli apocrifi, emarginati dalla tradizione ecclesiale, erano noti e molto diffusi, anche a livello di racconto orale. La maggior parte delle nostre conoscenze tradizionali sui Magi deriva da due fonti: la
translatio
delle loro supposte reliquie da Milano a Colonia, voluta da Federico Barbarossa nel 1164, e il testo del domenicano Giacomo da Varazze, vescovo di Genova alla fine del Duecento e autore di quel meraviglioso zibaldone agiografico ch’è la Leggenda aurea. Da queste due fonti primarie dipende la tradizione popolare occidentale, radicatasi dal Cinquecento per il tramite iberico anche in America latina, e alla quale è auspicabile si resti tutti affettuosamente fedeli: salvo poi la doverosa distinzione, all’interno di essa, di quel ch’è storicamente e filologicamente verificabile da quel ch’è invece leggenda. E veniamo alla cometa.
Nessuno scrive che fosse tale: né Matteo, né gli apocrifi. I magi di Matteo vengono ap’anatoloù, nel testo greco: ed è lì che hanno visto la ‘stella’, un corpo che almeno apparentemente si muove ma che non ha code di sorta. Fu poi Giotto, impressionato dalla cometa di Halley da lui vista nel 1301, che se ne ricordò allorché, fra 1305 e 1310, l’affrescò nella Cappella degli Scrovegni a Padova.
Da allora, quella che nella Bibbia vulgata era semplicemente « stella Eius in oriente » venne abitualmente raffigurata come una cometa. Prima, sarebbe stato impossibile: tra l’altro, secondo la tradizione astronomico­astrologica già ellenistica e poi medievale, la cometa annunziava sì mutamenti, ma in genere di segno negativo. Però, fenomeni celesti verificatisi esattamente negli anni della supposta nascita effettiva di Gesù, vale a dire tra il 7 e il 4 a.C. circa, ce ne furono parecchi. Lo stesso Keplero segnalò che nel 7 a.C i due pianeti Giove e Saturno si congiunsero per tre volte consecutive, causando un effetto ottico di straordinaria brillantezza; nel febbraio del 6 a.C.
si registrano le congiunzioni di Giove con la Luna e di Marte con Saturno nella costellazione dei Pesci. Gli astronomi cinesi segnalarono nel 5 a.C. un fenomeno astrale di grande lucentezza nelle costellazioni dell’aquila e del Capricorno: esso rimase visibile una settantina di giorni. Si trattava di una nova, una specie di esplosione nucleare causata dall’accumulo d’idrogeno che produce un ‘lampo’ di breve durata, poi visibile magari molti anni luce dopo l’esplosione effettiva. Oggi, gli astronomi parlano di nove o addirittura di supernove. Se i magi, assistendo da qualche parte della Persia al fenomeno registrato in Cina nel febbraio-marzo del 5 d.C., mossero più o meno allora verso occidente seguendone il corso apparente, dovettero arrivare in Giudea verso la fine della primavera. Ciò entra in conflitto con la data tradizionale della nascita del Cristo (il 6 gennaio per le Chiesa orientali, il 25 dicembre per quella romana).
Ma sappiamo bene che le due date tradizionali del natale sono state ricavate, rispettivamente, da un’antica festa isiaca delle acque (da qui la liturgia dell’Epifania) e da una festa solare dell’Urbe. In realtà, visto che all’atto della nascita c’erano attorno a Betlemme (quindi a circa ottocento metri sul livello del mare) dei pastori, i quali secondo le tradizioni della transumanza si trasferiscono in alto durante i mesi caldi, si direbbe più probabile che Gesù sia nato appunto tra la primavera e l’autunno piuttosto che non in inverno, quando nell’Alta Giudea fa freddo. Resta la tesi della citazione dei magi, in Matteo, per ‘gettare’ in qualche modo un ponte ai gentili. Un’idea audace, tanto che gli altri evangelisti canonici non l’hanno raccolta. Matteo è l’unico a parlarne: e lo fa, dobbiamo sottolinearlo, soprattutto in un contesto preciso, quello stesso che gli ha imposto di cominciare il suo testo con la declinazione genealogica di Gesù, quindi con la prova della sua discendenza dal re David e della Sua legittimità, pertanto, come Rex Iudaeorum
secondo il testo di Michea, 5, 1-3.
Infine, un appunto va pur fatto a tutto l’impianto del discorso sostenuto da Focus-Storia. I magi non sono personaggi di fantasia. È vero che in tutto l’Oriente, al tempo di Gesù, si chiamavano correntemente magoi gli astrologhi girovaghi, i ciarlatani, insomma i ‘magi randagi’ a dirla col film di Sergio Citti del 1996. Ma i magi veri c’erano, eccome: erano gli astrologi-sacerdoti d’origine meda, custodi dell’antica sapienza della religione mazdea riformata nel VI secolo a.C. da Zarathustra.
Una religione ancora viva tra l’Iran e l’India attuali, e che la rivoluzione islamica khomeinista ha rispettato, trattando i mazdei come ahl al-Kitab, ‘popolo del Libro’ detentore della Rivelazione divina affidata al testo dell’Avesta.
È nella loro tradizione che si parla del Saosihans,  del ‘Soccorritore’ nato da una Vergine, annunziato da una stella lucente e destinato a salvare il mondo. Matteo però, povero pubblicano galileo, dei magi mazdei non doveva saper un bel niente o quasi: com’è che con tanto sostanziale esattezza ha mostrato reminiscenze di tradizioni che noi conosciamo soltanto dall’Avesta, giuntoci peraltro attraverso redazioni tardive e non anteriori comunque al III secolo d.C.?
 

Entra a far parte della Community de L'Ancora (clicca qui) attraverso la quale potrai ricevere le notizie più importanti ed essere aggiornati, in tempo reale, sui prossimi appuntamenti che ti aspettano in Diocesi.

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *