M.Michela Nicolais

Il cambiamento è “conversione”. Non è “indossare un nuovo vestito, e poi rimanere come si era prima”. Nel tradizionale discorso alla Curia Romana per gli auguri natalizi, in Papa ha citato il card. Newman, in positivo, e la frase più celebre de “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa – “se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi” – per spiegare il senso autentico della sua opera di riforma della Chiesa. “Non siamo nella cristianità, non più! Oggi non siamo più gli unici che producono cultura, né i primi, né i più ascoltati[“, ha detto Francesco annunciando “cambiamenti” e “mutate attenzioni”, all’interno del processo di riforma, in particolare su alcuni dicasteri della Curia Romana: la Congregazione per la Dottrina della Fede, la Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, il Dicastero della Comunicazione e il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. “Dobbiamo avviare processi e non occupare spazi”, ha ribadito Bergoglio sulla scorta dell’Evangelii gaudium, perché “la tradizione non è la custodia delle ceneri”. Accettando, sempre oggi, la rinuncia del card. Angelo Sodano da Decano del Collegio Cardinalizio, il Santo Padre ha emanato inoltre un Motu proprio in cui stabilisce come questa carica, d’ora in poi, durerà per cinque anni eventualmente rinnovabili, al termine dei quali il Decano – come è accaduto oggi a Sodano – potrà assumere il titolo di Decano emerito.

“Un mondo cristiano da una parte e un mondo ancora da evangelizzare dall’altra”.

Questa situazione, oggi, per il Papa “non esiste più”: “Le popolazioni che non hanno ancora ricevuto l’annuncio del Vangelo non vivono affatto soltanto nei Continenti non occidentali, ma dimorano dappertutto, specialmente nelle enormi concentrazioni urbane che richiedono esse stesse una specifica pastorale”. Nelle grandi città, proprio per questo, “abbiamo bisogno di altre ‘mappe’, di altri paradigmi, che ci aiutino a riposizionare i nostri modi di pensare e i nostri atteggiamenti”.

“Non siamo più in un regime di cristianità perché la fede – specialmente in Europa, ma pure in gran parte dell’Occidente – non costituisce più un presupposto ovvio del vivere comune, anzi spesso viene perfino negata, derisa, emarginata e ridicolizzata”.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

“Non si tratta più soltanto di ‘usare’ strumenti di comunicazione, ma di vivere in una cultura ampiamente digitalizzata che ha impatti profondissimi sulla nozione di tempo e di spazio, sulla percezione di sé, degli altri e del mondo, sul modo di comunicare, di apprendere, di informarsi, di entrare in relazione con gli altri”. Sono le parole dedicate dal Santo Padre al Dicastero per la Comunicazione, chiamato a tener conto di “un approccio alla realtà che tende a privilegiare l’immagine rispetto all’ascolto e alla lettura”. “La nuova cultura, marcata da fattori di convergenza e multimedialità, ha bisogno di una risposta adeguata da parte della Sede Apostolica nell’ambito della comunicazione”, la proposta del Papa, secondo il quale

“oggi, rispetto ai servizi diversificati, prevale la forma multimediale, e questo segna anche il modo di concepirli, di pensarli e di attuarli. Tutto ciò implica, insieme al cambiamento culturale, una conversione istituzionale e personale per passare da un lavoro a compartimenti stagni – che nei casi migliori aveva qualche coordinamento – a un lavoro intrinsecamente connesso, in sinergia”.

“Servire i più deboli ed emarginati, in particolare i migranti forzati, che rappresentano in questo momento un grido nel deserto della nostra umanità”. È uno dei compiti principali del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale. La Chiesa è chiamata a ricordare a tutti che non si tratta solo di questioni sociali o migratorie ma di persone umane, di fratelli e sorelle che oggi sono il simbolo di tutti gli scartati della società globalizzata”, l’appello di Francesco:

“È chiamata a testimoniare che per Dio nessuno è ‘straniero’ o ‘escluso’. È chiamata a svegliare le coscienze assopite nell’indifferenza dinanzi alla realtà del Mar Mediterraneo divenuto per molti, troppi, un cimitero”.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

“L’umanità è la cifra distintiva con cui leggere la riforma”, spiega Francesco, mettendo ancora una volta in guardia “dalla tentazione di assumere l’atteggiamento della rigidità”, che “nasce dalla paura del cambiamento e finisce per disseminare di paletti e di ostacoli il terreno del bene comune, facendolo diventare un campo minato di incomunicabilità e di odio”.

“La Curia romana non è un palazzo o un armadio pieno di vestiti da indossare per giustificare un cambiamento”,

ripete il Papa tornando all’incipit del suo discorso, al termine del quale cita l’ultima intervista rilasciata dal card. Martini a pochi giorni dalla sua morte: “La Chiesa è rimasta indietro di duecento anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. Solo l’amore vince la stanchezza”. Prima di congedarsi dai presenti, il Papa ha regalato loro due libri: il primo è il suo libro-intervista per il Mese missionario straordinario, “Senza di Lui non potete far nulla”, e il secondo è un volume di padre Luigi Maria Epicopo: “Qualcuno a cui guardare”.

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