Stefano De Martis

Il passaggio parlamentare sul Meccanismo europeo di stabilità (Mes) ha rappresentato la prova più ardua per il secondo governo Conte in poco più di tre mesi di vita. Ha fatto emergere tutti i nodi problematici ma anche le potenzialità di un esecutivo che deve ancora trovare un’identità precisa. E questo è accaduto perché la vera posta in gioco – al di là delle pur importanti questioni tecniche relative al Mes e delle loro implicazioni – è stata la posizione nei confronti dell’Europa, divenuta uno spartiacque tra le forze che si richiamano ai valori della democrazia aperta e inclusiva e quelle che teorizzano le chiusure del “sovranismo” come risposta alle paure ingenerate dalla globalizzazione.
Si è votato sulle mozioni presentate dopo le comunicazioni del premier alla vigilia del Consiglio europeo e se l’esito era scontato alla Camera, dove i numeri della maggioranza di governo sono ampi, al Senato il risultato era incerto, per gli esigui margini di partenza e per il timore di defezioni nel gruppo del Movimento 5 Stelle, che sul Mes in quanto tale ha avuto storicamente una posizione contraria. Gli esperti di tattica parlamentare avevano fatto notare che grazie al computo delle assenze (magari appositamente gestite) alla fine la mozione della maggioranza sarebbe comunque passata anche senza raggiungere la quota fatidica di 161 voti, vale a dire la maggioranza assoluta dei senatori. Ma un risultato al di sotto di quella soglia avrebbe segnalato una debolezza strutturale della compagine di governo anche superiore a quella che finora si è potuta osservare. Invece

la mozione della maggioranza ha ottenuto 164 voti favorevoli nonostante qualche uscita dal campo pentastellato (in direzione Lega, a quanto pare dai primi riscontri).

Il che avvalora la scuola di pensiero secondo cui nell’attuale Parlamento i potenziali sostenitori di una maggioranza di governo che eviti la “spallata” dei sovranisti e garantisca la prosecuzione della legislatura, sono più numerosi dei sostenitori ufficiali dell’esecutivo. Il Conte 2 deve ancora portare a casa la manovra economica, ma dopo il voto sul Mes si può ragionevolmente prevedere che il governo possa tenere il passo almeno fino alle regionali in Emilia-Romagna e Calabria, a fine gennaio. Bisognerà vedere se si accontenterà di navigare a vista o se invece riuscirà a darsi un orizzonte più ampio.
Ma che cosa si afferma nella mozione approvata dal Parlamento? Bisogna innanzitutto ricordare che il Mes (o Fondo salva-Stati) esiste già dal 2012 ed il suo fine è quello di intervenire in caso di gravi crisi economico-finanziarie. I negoziati per ridefinire alcuni aspetti del Trattato istitutivo sono iniziati nel marzo 2018 e quindi fino alla scorsa estate sono stati condotti per l’Italia dal governo M5S-Lega. Trattandosi di una materia complessa e specialistica sono ovviamente possibili valutazioni di segno diverso, ma di fatto l’accordo tra gli Stati era stato già raggiunto a luglio e non attraverso riunioni segrete. L’Italia aveva già ottenuto, per esempio, di “escludere qualsiasi meccanismo che implichi una ristrutturazione automatica del debito” (quando lo Stato decide di non rimborsare tutti i titoli emessi, detto brutalmente), qualora si richieda l’intervento del Mes. Ma tale intervento, comunque, deve essere richiesto e presuppone che lo Stato si trovi a fronteggiare il rischio di una bancarotta.

La mozione ribadisce il punto e mette anche le mani avanti contro una proposta tedesca (rimasta però tale) sul superamento dell’attuale sistema che convenzionalmente considera a rischio zero i titoli pubblici posseduti dalle banche.

Proposta insidiosa per l’Italia in quanto le nostre banche sono piene di titoli di Stato e sono spinte a comprarli perché il nostro debito pubblico ha continuamente bisogno di essere finanziato. Terzo punto-chiave, in realtà una premessa di carattere generale, è che il governo viene a impegnato a “mantenere la logica di pacchetto”, cioè a sostenere contestualmente alla revisione del Mes altre iniziative che assicurino “l’equilibrio complessivo” del processo di riforma dell’Unione economica e monetaria, come ad esempio un’assicurazione comune dei depositi e l’introduzione di un titolo obbligazionario europeo sicuro (tipo eurobond). Il tutto sempre coinvolgendo il Parlamento nei passaggi decisivi.
Il tenore degli slogan utilizzati nella polemica politica ha dimostrato però ancora una volta che non gli aspetti tecnici del Mes ma l’atteggiamento nei confronti della UE e dell’Euro è il vero discrimine su cui si articola il quadro politico e si determinano gli schieramenti. Non a caso il Conte 2 è in qualche modo figlio del riposizionamento del M5S che nell’Europarlamento, a luglio, ha sostenuto in modo compatto l’elezione di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea, risultando anche decisivo. Ma il travaglio dei Cinquestelle è tutt’altro che compiuto, come aveva rivelato già a fine novembre il voto frammentato dei suoi europarlamentari sulla nuova Commissione formata dall’ex-ministro tedesco della Difesa e come ha confermato la fatica con cui i suoi gruppi parlamentari italiani sono arrivati ad approvare la mozione sul Mes. Un travaglio di segno opposto è quello che ha investito Forza Italia, partito di solidi legami europeisti, che nel dibattito sul Mes si è ritrovato a fare fronte comune con Lega e Fratelli d’Italia.

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