Andrea Casavecchia

La famiglia è una risorsa unica per sostenere le persone più fragili della società. Attualmente non c’è un soggetto più efficace nell’attività di cura. Generalmente all’interno della famiglia si attivano le persone per aiutare i parenti prossimi più vulnerabili: i genitori che accudiscono il loro figlio appena nato, i nonni che accompagnano a scuola i loro nipoti, i figli che assistono il loro papà o la loro mamma che non riescono più ad essere auto sufficienti.

Questa ricchezza, che ha un valore sociale unico e irriproducibile, corre il rischio costantemente di diventare una vulnerabilità sociale, perché quelli che assistono (i caregiver) scoprono il loro fianco in una società competitiva, che richiede sempre il 100% nella prestazione.

Il paradosso appare tra le righe di una recente rilevazione dell’Istat su “Conciliazione tra lavoro e famiglia”, un rapporto annuale che raccoglie i dati del 2018 sul tema.

Il report ci dice che tra i 18 e i 64 anni oltre 12 milioni di persone in Italia si prendono cura di figli minori di 15 anni, di parenti malati, disabili o di anziani. Tra questi oltre 10 milioni si occupano dei loro figli: tra loro si trova il 33,7% degli occupati. Invece sono quasi 3 milioni gli adulti impegnati nell’assistenza di familiari non autosufficienti.

Prendersi cura incide sulle possibilità di lavorare in due modi: innanzitutto una parte, in special modo le donne, è respinta dal mercato del lavoro, perché non riesce a trovare conciliazione dei tempi; poi c’è un folto gruppo di persone – oltre un occupato/a su tre – che riscontra forti difficoltà a causa di un lavoro troppo impegnativo, imprevedibile, o con una programmazione complessa. Sono le donne a pagare il prezzo più alto in campo lavorativo: ad esempio il 38,3% di quante sono diventate mamme hanno dovuto cambiare la loro vita lavorativa, contro l’11,9% dei padri.

Nelle situazioni impegnative di assistenza, i care giver entrano in difficoltà. Il loro tempo viene mangiato e non riescono più a mantenere l’equilibrio dei tempi. Soluzioni possibili ci sono: politiche a favore dello smartworking, agevolazioni dei passaggi dal full time al part time, politiche del territorio per incentivare servizi a sostegno della genitorialita e delle non autosufficienze. Però c’è anche una mentalità tutta italiana da combattere, quella che ritiene di ottenere il lavoro migliore quando ci sono persone sempre sul posto, sempre disponibili a dare quei minuti o quelle ore in più, senza considerare che sono il riposo e le relazioni che rigenerano e forniscono senso e qualità al lavoro che si svolge.

Entra a far parte della Community de L'Ancora (clicca qui) attraverso la quale potrai ricevere le notizie più importanti ed essere aggiornati, in tempo reale, sui prossimi appuntamenti che ti aspettano in Diocesi.

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *