Marco Testi

La conclusione del racconto “Il passo strano” la dice lunga su uno dei più famosi preti della letteratura, quel Padre Brown di Gilbert K. Chesterton che risolve enigmi terreni e talvolta metafisici, e poi abbandona il luogo del delitto poco prima dell’esposizione mediale e del trionfo. Non lo fa in taxi o in una lunga, romantica e cinematografica passeggiata londinese, ma andandosi a cercare un mezzo pubblico e sparire, direbbe Thomas Hardy, tra la pazza folla. In effetti, in tutto il ciclo del celebre sacerdote-investigatore si coglie la scarsa sopportazione dell’autore per i tic esotizzanti, modernizzanti, alternativi e i sedicenti anticonformismi della borghesia intellettuale inglese dell’età vittoriana e poco oltre. Ma non è il solo prete letterario della storia della letteratura.

I sacerdoti di Georges Bernanos, ad esempio, sono dilaniati dalla continua lotta tra il bene e il male, e, soprattutto in “Sotto il sole di Satana”, il protagonista, l’abate Donissan, sembra quasi impotente di fronte alle potenze delle tenebre, se non fosse per l’intuizione che solo l’amore assoluto per l’altro, ricordo di quello di Dio per l’uomo, può salvare davvero. Se è per questo anche Bruce Marshall, scozzese, presenta nell’amore per l’altro, e il rimettersi in gioco nel confronto con la sofferenza dell’uomo,  il senso della vita dei suoi preti, soprattutto il padre Gaston di “A ogni uomo un soldo” che attraversa il periodo più buio del Novecento, a contatto con i macelli delle guerre mondiali, o il sacerdote de “La sposa bella” che si trova in mezzo alla carneficina della guerra civile spagnola. Anche se poi il benedettino protagonista del “Miracolo di padre Malachia” deve fare i conti con un altro, sebbene più sottile e meno violento, limite umano, quello della diffidenza di fronte al miracolo, anche quando esso è evidente. Se invece si volesse capire l’atmosfera dell’Italia post-bellica e dei rapporti tra comunisti e cattolici, dovrebbe dare uno sguardo alla saga del Don Camillo creato dalla penna di Giovanni Guareschi a partire dal 1948 e diventato poi celebre, come spesso capita (basta pensare al Gattopardo o a Mary Poppins) per gli adattamenti cinematografici. La contrapposizione tra un prete testardo e orgoglioso e un sindaco comunista alla fine della seconda guerra mondiale ha rappresentato -più che i manuali di storia e i giornali (che pochissimi leggevano)- la spaccatura tra le due Italie di allora, quella cattolica e quella fedele alla nuova divinità chiamata Stalin. La storia del Novecento ritorna anche in “Il potere e la gloria”, di Graham Greene, in cui un prete in crisi e abbandonato a se stesso, trova la forza della dignità proprio nel pericolo mortale della testimonianza religiosa durante la repressione anti-cattolica nella rivoluzione messicana.

Ma anche la narrazione del contatto urticante ancorchè umanissimo con la dimensione dell’amore si è fatta largo nella letteratura: basti pensare a Stephen Fermoyle, protagonista de “Il cardinale” di Henry Morton Robinson, che, pur riconoscendo la forza del sentimento, decide di rimanere fedele alla sua ritrovata vocazione e di stare vicino alla sofferenza degli altri.

Ci sarebbero tanti altri preti raccontati che per motivi di spazio non possono essere approfonditi qui, come i due prelati del dramma “Incontro al parco delle terme” di Diego Fabbri e poi i sacerdoti narrati da Pasquale Maffeo, Rodolfo Doni, Mario Pomilio, François Mauriac, Gilbert Cesbron, Mario Tobino, perfino Pirandello, Eliot,  la Collin McCullogh del best-seller “Uccelli di rovo”, e poi Cronin, Schmitt, Silone, Tomizza, Parise e tanti, troppi, per poterli elencare tutti. Segno evidente che, nonostante il silenzio mediatico, la tonaca affascina ancora.

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