Dopo quelle di Ecuador, Cile e Bolivia, si muovono anche le piazze della Colombia. Centinaia di migliaia le persone scese in piazza nella capitale Bogotá e nelle altre principali città del Paese. Contrariamente alle preoccupazioni della vigilia e al clima di stato d’assedio che era stato prefigurato (in qualche caso erano state promosse “ronde” e bande informali per far fronte agli “incappucciati”), la protesta è stata essenzialmente pacifica, anche se non è mancato qualche momento di tensione. Nella capitale la giornata si è conclusa con un cacerolazo, il battito collettivo sulle pentole tipico di molte proteste sudamericane. Il coprifuoco ipotizzato dalle autorità governative è stato dichiarato solo a Cali.
La manifestazione di ieri, come viene fatto notare dai maggiori organi d’informazione del Paese, ha avuto un principale elemento di novità: la manifestazione è stata convocata non dai partiti, come accade usualmente in un Paese finora socialmente “bloccato” come la Colombia, ma da sindacati, studenti, organizzazioni indigene e ambientaliste.

I messaggi dei manifestanti ruotavano prevalentemente attorno a tre temi: il no alle riforme proposte dal Governo per rendere il mercato del lavoro più flessibile e cambiare il sistema pensionistico; l’adempimento dei patti del 2018 che prevedevano maggiori finanziamenti alle università pubbliche e l’attuazione integrale e in tutto il Paese degli accordi di pace. “Oggi hanno parlato i colombiani, li stiamo ascoltando”, ha detto il presidente della Repubblica, Iván Duque, reduce anche dalla recente sconfitta elettorale alle regionali e alle comunali.
La Chiesa ha seguito con attenzione la giornata, dopo aver alla vigilia diffuso una “preghiera per la Colombia”.

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