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La politica è diventata l’arte del dividere e del distruggere?

Stefano De Martis

C’è voluto, purtroppo, un attentato estremamente grave ai nostri soldati in Iraq per provocare almeno inizialmente reazioni convergenti tra le forze politiche.
Quei soldati impegnati per la pace e contro il terrorismo, ci rammentano che esistono molte dimensioni della vita della Repubblica in cui tutti i cittadini posso riconoscersi semplicemente come tali, al di là di ogni contrapposizione ideologica. E sono le dimensioni fondanti, quelle legate ai princìpi su cui la Repubblica è stata costruita. A fronte di cambiamenti sempre più vorticosi, ha ricordato recentemente il Capo dello Stato, “c’è qualcosa che rimane costante, che è la condizione umana, i valori dell’umanità, quelli della convivenza, della solidarietà, del senso di responsabilità”.
Eppure la politica nostrana è stata capace di dividersi persino sulla nascita, al Senato, di una commissione di controllo contro razzismo, antisemitismo e ogni forma d’istigazione all’odio. Un organismo alla cui promotrice, la senatrice a vita Liliana Segre, una straordinaria donna di 89 anni sopravvissuta all’Olocausto, si è stati costretti ad assegnare una scorta per i timori suscitati dalla campagna di insulti e minacce di cui è stata fatta oggetto. Sembra che davvero non ci siano più limiti a questa escalation di intolleranza e di cattiveria (è stato il Censis a usare questa parola anche in termini sociologici).
Si badi bene, la storia della Repubblica è stata segnata sin dagli inizi da contrapposizioni politiche molto forti.
E appena lo scorso anno si è ricordato il quarantesimo anniversario dell’assassinio di Aldo Moro e della sua scorta, fatto drammaticamente emblematico di una non breve stagione che ha visto il Paese insanguinato da una violenza politica efferata di diverse matrici ideologiche. Quando si fanno i conti con la storia bisogna sempre essere prudenti nei paragoni ed evitare l’evocazione di età dell’oro che non sono mai esistite. Eppure nella situazione di oggi ci sono due elementi che la rendono particolarmente inquietante anche rispetto a un passato che certo non si può rimpiangere. Il primo è proprio di carattere storico. L’Italia uscita dall’immane tragedia della guerra è stata capace di innescare, grazie anche al contributo di figure eccezionali come Montini e De Gasperi (ma non solo), un processo epocale di inclusione di tutte le fasce della popolazione nella grande sfida della democrazia. Ebbene, questo processo, dopo aver resistito anche all’attacco del terrorismo, non solo sembra essersi interrotto, ma vede ribaltata la stessa logica inclusiva che ne era il presupposto e il fondamento.
La politica sembra diventata l’arte del dividere e del distruggere, non quella del dialogare e del costruire. L’altro elemento è la diffusione dell’odio sociale con una pervasività mai vista prima. Una notizia di cronaca di questi giorni dice forse più di tante analisi. Una donna di 68 anni si è ritrovata coinvolta in un’inchiesta per attentato alla libertà, offesa all’onore e al prestigio del presidente della Repubblica, istigazione a delinquere.
Ha scritto sui social un post vergognoso all’indirizzo del presidente Mattarella tirando in ballo addirittura il fratello ucciso dalla mafia.

Ora la donna è strapentita e vorrebbe chiedere scusa in ginocchio, ma la domanda è: che cosa mai può aver spinto una distinta signora alla soglia dei settant’anni, che si definisce “madre, nonna, amante della pittura e degli animali”, a comportarsi così? Lo ha spiegato lei stessa: è stata contagiata dall’ambiente dei social, “c’era un tam tam tremendo”. Fermiamo i tamburi, finché siamo ancora in tempo.