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Crisi in Cile. Vescovi: “Va ripensato il modello economico del Paese”

Bruno Desidera

Resta di massima allerta la situazione in Cile, dove anche dopo la fine dello stato d’emergenza le manifestazioni pacifiche, ma anche i gesti di violenza, sono proseguiti anche durante il “ponte” festivo. A Santiago una nuova manifestazione, preceduta da un migliaio di donne vestite a lutto, si è tenuta venerdì. Si susseguono denunce di arresti arbitrari e repressioni, mentre l’opposizione chiede di cambiare la Costituzione e le dimissioni del presidente Sebastián Piñera. Nel primo caso, sono stati compiuti i primi passi a livello parlamentare, mentre il presidente, in un’intervista alla Bbc, ha escluso l’ipotesi di dimissioni. Un lungo e profondo lavoro di dialogo, cambiamento vero e riconciliazione attende il Paese. Ne è convinto mons. Fernando Chomali, arcivescovo di Concepción, che ha chiesto in una lettera ai parroci di dare vita a spazi di autentico dialogo e approfondimento della realtà sociale in ogni comunità dell’arcidiocesi. “In questi giorni abbiamo visto la richiesta da parte della grande maggioranza degli abitanti del nostro Paese di attuare profonde riforme nei più svariati campi della vita economica, sociale e politica. Questo è il motivo per cui vi invito a promuovere occasioni di dialogo tra i diversi membri della comunità e altri organi sociali e comunitari interessati a partecipare”. Mons. Chomali ritiene che la crisi attuale del Cile sia etica, prima che politica ed economica, e che il modello neoliberista adottato nel Paese abbia fallito a vada superato.

Mons. Chomali, cosa pensa di quanto sta accadendo in Cile in questi giorni?
La verità è che stiamo vivendo a livello pubblico la manifestazione di ciò che molti cileni vivono, una difficoltà che riguarda ambiti fondamentali, come la salute, l’educazione, la casa, il lavoro. E’ vero che il Cile è noto per avere dei dati macroeconomici ricchi, ma tali dati non si riflettono nella vita di molte persone. Tutto questo ci dice che va ripensato il modello economico del Paese. Ci vuole più etica che tecnica, più attenzione alle persone che alle cose.

Intanto il presidente ha annullato i vertici Asia-Pacifico e Cop25 sul clima, due appuntamenti molto attesi a Santiago. E’ stata una decisione giusta, a suo avviso?
Si tratta di una decisione politica e su quella personalmente non ho alcuna competenza.

Credo però che la vera urgenza per il Paese sia oggi quello di aprire un tavolo di dialogo, aperto a tutti, che metta in discussione il nostro stile di vita, nel rispetto per ciascuno.

I vertici possono essere utili se contribuiscono a politiche di maggior giustizia ed equità, ma il punto vero è la necessitò di un superamento di una politica liberista che si sta dimostrando fallimentare.

Lei ha già dichiarato, però, che l’attuale crisi che il Cile sta attraversando è soprattutto etica, prima che economica e politica. Conferma?
Appunto, è proprio così. La nostra è una crisi morale perché il soggetto, la persona, viene oggi messa tra parentesi. Dobbiamo tornare a capire che il bene comune non è la somma di tanti beni individuali, altrimenti a prevalere sono l’avarizia e l’egoismo. Dobbiamo dire un forte no a quella globalizzazione dell’indifferenza rispetto spesso denunciata da Papa Francesco. Una situazione che riguarda anche il nostro Paese. Siamo chiamati a una conversione e questo è, appunto, un atteggiamento etico. Ma c’è un secondo motivo per il quale questa crisi chiama in causa la responsabilità morale…

Ci dica…
La responsabilità morale è di tutti perché la crisi ci riguarda tutti. Certo,

sono chiamati in causa i politici, ma anche chi opera nell’economia, gli imprenditori.

E anche, mi lasci dire, la Chiesa stessa, che esce da una grave crisi morale ed è chiamata a trovare nuove parole.

In effetti, nei sondaggi d’opinione la popolarità della Chiesa è molto bassa, in questa classifica solo i politici hanno un gradimento peggiore…
Sì, come è noto questo giudizio deriva dagli scandali degli abusi sui minori che sono emersi. Devo anche dire, tuttavia, che nella vita quotidiana la nostra Chiesa è molto impegnata con i più poveri. Da tutti è riconosciuto che in molti casi i poveri, i bambini che vivono nel disagio, gli anziani, sarebbero abbandonati a loro stessi. Nell’azione della Chiesa ci sono state ombre, ma anche tanto impegno.

Lei ha scritto a tutti i parroci, chiedendo luoghi e momenti di ascolto e dialogo sulla situazione del Paese, che coinvolgano il maggior numero di persone possibile. Ci spiega le finalità di questa scelta?
Certo, la parrocchia opera in un ambito pastorale, ma questo non è isolato dalle dinamiche sociali, anzi questa separazione è per la Chiesa una tentazione contro la quale si deve combattere. La chiave di lettura, in ambito ecclesiale, per affrontare tali tematiche, dev’essere la Dottrina sociale.

Incontri diffusi come questi potranno essere utili per rafforzare la società civile e dare vita a nuove figure politiche cristianamente ispirate?
Speriamo che sia così, dopo che i cattolici impegnati in politica qui in Cile si sono persi (il riferimento è alle recenti vicende della Democrazia cristiana, ndr), anzi hanno fatto dei danni permettendo la legalizzazione dell’aborto e la distruzione della famiglia.