Daniele Rocchi

Il 9 ottobre scorso prendeva inizio l’offensiva turca in territorio siriano denominata “Fonte di pace”. Obiettivo dichiarato la creazione di un corridoio lungo 480 km, quanto il confine turco-siriano, e 30 km profondo, a Est dell’Eufrate. L’operazione, voluta dal presidente turco Erdogan, ha, inoltre, lo scopo di colpire i curdi dello Ypg, che i turchi considerano terroristi, di ricollocare in questa sorta di ‘safe zone’, i profughi siriani (circa due degli oltre tre milioni e mezzo) che sono attualmente in Turchia.

Dopo una settimana che cosa è cambiato sul terreno? Si va verso un possibile conflitto Turchia-Siria? Che fine ha fatto il fronte di Astana formato da Turchia, Russia e Iran, nato per lavorare sulle zone di de-escalation in vista di una ricostruzione della Siria? Lo abbiamo chiesto a Matteo Bressan analista e docente, direttore dell’Osservatorio per la stabilità e sicurezza del Mediterraneo allargato (OssMed) della Lumsa.

Il fatto più importante di questi ultimissimi giorni pare essere l’accordo tra i curdi dell’Ypg e il regime di Damasco che ha riportato le truppe di Bashar al Assad in una area della Siria, il Rojava, autonoma de facto nel nord e nord-est della Siria, non ufficialmente riconosciuta dal governo siriano. Lo scontro militare è passato così da quello tra milizie jihadiste filoturche e forze curde a quello tra due eserciti. A questo punto Ankara dichiarerà guerra alla Siria?
Questo esito non mi stupisce. Da tempo c’erano dei contatti tra alcune milizie curde e Damasco, a conferma che i canali di dialogo non erano mai stati chiusi. Sin dal 2011, le forme di insorgenza di alcuni gruppi curdi nel Nord Est del paese, non hanno mai rappresentato una minaccia mortale per le autorità centrali rispetto agli altri gruppi di opposizione armata che, almeno fino al 2015, hanno avuto la forza e la consistenza per mettere in discussione il Presidente Assad. In questi giorni, di fronte alla possibilità di doversi scontrare contro le forze militari di Ankara le più importanti milizie curdo – siriane dell’Ypg hanno optato per ricercare protezione da Damasco. È certamente presto per capire se questa scelta sancirà un accordo più ampio delle relazioni tra queste milizie e le autorità centrali, così come non è chiaro quali potranno essere le concessioni di Damasco alle comunità curde nel Nord Est del paese. Quello che è certo è che l’approssimarsi dell’esercito di Assad in quei territori e a ridosso del confine con la Turchia è senza ombra di dubbio un elemento di deterrenza nei confronti di Ankara.

Appare sempre più evidente in questo contesto il crescente ruolo della Russia, tradizionale alleato della Siria, e quindi contrario ad ogni minaccia verso Damasco. Mosca ha detto a Erdogan che non permetterà nessuna minaccia alla integrità territoriale della Siria e non consentirà scontri tra i due Paesi…
Mosca dal 2015 ha impresso importanti e significative svolte non soltanto negli equilibri del campo di battaglia ma ponendosi come attore capace di parlare e, in parte mediare, con tutti. Mosca può parlare contemporaneamente con Turchia, Iran, Israele, Arabia Saudita e perfino gli Hezbollah libanesi, così decisivi per sostenere Assad. È evidente che, a fronte di una sostanziale continuità sia dell’amministrazione Obama che di quella di Trump nel non chiarire dei lineari e coerenti obiettivi in questo campo di battaglia, Mosca si stia ormai da tempo muovendo con una propria agenda.

Come decifrare, invece, la politica di Trump che dopo aver dato il via libera a Erdogan con la decisione di far tornare in patria un migliaio di militari di stanza nel nordest ha invocato “grandi sanzioni per la Turchia”?
La questione di fondo è che quei territori dove si trovavano i militari statunitensi erano e sono territorio siriano. Non scopriamo certo oggi che questa presenza era mal tollerata sia da Damasco che dagli iraniani. Siamo sicuri che un migliaio di soldati, peraltro posti in un ambiente sostanzialmente ostile, sarebbero stati determinanti per le sorti della Siria? Non le nascondo i miei dubbi e credo che gli Usa abbiano ben altre carte per incidere sul processo siriano e sul contenimento iraniano. Rispetto agli annunci contro la Turchia non dobbiamo dimenticarci che stiamo assistendo ad una sostanziale divaricazione tra Ankara e Washington culminate con la fornitura russa di S – 400 alla Turchia e la sospensione di questa dal programma dell’F – 35. Se non comprendiamo pienamente il lungo trend iniziato con il fallito golpe nelle notte del 15 luglio del 2016 e come le relazioni tra Turchia e Usa siano andate a deteriorarsi negli ultimi anni, non saremo in grado di comprendere il livello di complessità che abbiamo di fronte.

La fuga di centinaia di combattenti Isis detenuti dalle carceri curde conferma la paura della prima ora: Isis potrebbe risollevare il capo grazie a questa campagna militare turca?
Il tema del ritorno dell’Isis ci conferma che la narrativa, forse un po’ troppo ottimistica degli ultimi due anni, si scontra con la realtà. C’era dallo scorso marzo, dopo l’annuncio di Trump, un serio problema di gestione degli ex combattenti dell’Isis, dei loro figli e delle loro mogli. I paesi europei si sono attivati in ordine sparso, pur trattandosi nella maggior parte dei casi di connazionali. Ora questa emergenza rischia di esplodere nel peggiore dei modi.

Un aspetto di cui si parla poco è quello del fronte di Astana, formato nel 2016 da Turchia, Russia e Iran per lavorare sulle zone di de-escalation in vista di una ricostruzione del Paese. Che ne sarà di questo fronte adesso?
Questo è il grande tema sinceramente un po’ dimenticato nel dibattito di questi giorni. La formula di Astana che in parte stava affiancando i negoziati di Ginevra, aveva garantito una gestione da parte di Turchia, Iran e Russia dei precari equilibri siriani. Le tre potenze, pur avendo agende e idee differenti rispetto ai futuri assetti della Siria, avevano trovato un meccanismo di dialogo tra di loro. La questione che si presenta adesso è capire se questa formula potrà ancora essere efficace per garantire l’integrità territoriale della Siria e se, eventualmente, Mosca dovrà farsi garante della sicurezza della Turchia che, è bene ricordarlo, considera i gruppi armati curdi in Siria come terroristi. Tutto ciò non sarà agevole perché per Ankara è in ballo la propria sicurezza interna e, pertanto, ciò che accadrà in territorio siriano sarà sempre considerato di interesse vitale per Erdogan.

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