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Sinodo per l’Amazzonia: Díaz Mirabal, “noi indigeni siamo i martiri, nessun Paese sfugge”

“Siamo i martiri dell’Amazzonia, nessun Paese sfugge”. Lo ha detto José Gregorio Díaz Mirabal, presidente del Congresso delle organizzazioni indigene amazzoniche, intervenuto al briefing di ieri sul Sinodo, in sala stampa vaticana. Citando le numerose sollevazioni dei popoli indigeni finite con un bagno di sangue – dall’Ecuador, al Brasile, al Venezuela – Díaz ha commentato: “Siamo i popoli chiamati a cercare alleanze per proteggere la nostra vita. Quello che sta succedendo ora in Ecuador può essere applicato a tutto il bacino amazzonico”. “Speriamo che quello che succede in Ecuador incoraggi i nostri fratelli venezuelani”, ha proseguito: “Sembra che il mondo stia fuggendo da alcune frontiere per andare verso altre frontiere. Sono tante le sfide che noi popoli indigeni dobbiamo affrontare in Amazzonia, dobbiamo cercare alleanze: per questo siamo qui al Sinodo”. Nella regione panamazzonica, ha fatto notare mons. José Ángel Divassón Cilveti, già vicario apostolico di Puerto Ayacucho e vescovo titolare di Bamaccora, “quasi sei milioni di indigeni sono andati via semplicemente per sopravvivere. Senza contare quelli che sono stati massacrati per lo sfruttamento della terra o le attività estrattive minerarie. In Amazzonia ci sono 35 multinazionali che lavorano senza controllo e senza autorizzazioni”. Di qui l’importanza di cercare “cammini comuni”, come vuole fare il Sinodo, in una prospettiva di “dialogo interculturale”. Come quello intessuto dai salesiani con il popolo indigeno degli Yanomani, ha raccontato il vescovo: “Abbiamo condiviso la vita delle comunità, senza pretendere di dire loro cosa fare: non come colonialisti, ma con rispetto e nella consapevolezza che sono loro a dover tenere le redini del proprio destino”.