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Siria. Invasione turca potrebbe dare nuova linfa all’Isis

Daniele Rocchi

Dopo l’annuncio di una imminente operazione militare turca a ridosso della frontiera e dopo il via libera dato dagli Stati Uniti al governo di Ankara, nel nord-est della Siria, per ora, si respira un’aria di calma apparente. Le forze curdo-siriane Pyg/Ypg sono in allerta in tutta l’area. Dalla Turchia non arrivano segnali distensivi.

Ieri ad Ankara il ministero della Difesa turco ha annunciato di aver terminato i preparativi per la sua offensiva contro le milizie curdo-siriane e ha ribadito che Ankara “non tollererà mai la creazione di un corridoio del terrorismo lungo il confine”. La creazione di una safe zone (zona sicura), dove ricollocare almeno due degli oltre 3,6 milioni di rifugiati siriani oggi in Turchia, “è necessaria per dare una vita sicura ai siriani e contribuisce alla pace e alla stabilità nella nostra regione”.
Le Forze Armate turche attendono solo l’ordine dalle autorità politiche. Favorevoli all’operazione sono i vari gruppi dell’opposizione siriana, sostenuti da Erdogan, riuniti sotto l’Esercito nazionale siriano. Il suo capo, Selim Idris, ha affermato che le terre a est dell’Eufrate fanno parte della Siria, ma “attualmente sono sotto il controllo delle Unità di protezione del popolo curdo (Ypg)” che Ankara considera come organizzazioni terroristiche al pari del Pkk, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan. Per questo motivo, ha spiegato Idris, “è nostro dovere far tornare gli sfollati nelle loro case e liberare le loro terre dai terroristi che vogliono dividere la Siria e minacciare la sicurezza e la stabilità della Turchia”. Sul versante opposto i curdi pensano ad una alleanza con il presidente Assad contro la Turchia, come confermato da Mazlum Abdi, comandante in capo delle forze curdo-siriane nel nord-est della Siria. Mentre contrario a qualsiasi operazione militare della Turchia nel nord-est della Siria è l’Iran, storico alleato del presidente siriano Assad. Una posizione ribadita dal ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif in una telefonata con l’omologo turco Mevlut Cavusoglu durante la quale ha sottolineato il rispetto dell’integrità territoriale e della sovranità nazionale siriana. Nel frattempo dagli Stati Uniti giunge la precisazione: nessuna luce verde ad un’operazione militare turca. In un briefing con i giornalisti esponenti dell’amministrazione Usa hanno chiarito: “abbiamo 50 uomini delle forze speciali nella zona delle operazioni. Il fatto che li stiamo spostando non è una luce verde. Non sosteniamo l’operazione”.

Parole che fanno il paio con dei tweet del presidente Trump che ha minacciato la Turchia di “non approfittare” della situazione. “Come ho detto in passato, se la Turchia fa qualcosa che io, nella mia insuperabile saggezza, considero off limits distruggerò e annienterò l’economia della Turchia”. La decisione di Trump di ritirare i soldati Usa è stata criticata anche dai suoi più stretti alleati come il senatore Lindsay Graham, presidente della commissione giustizia del Senato, che l’ha definita “un disastro annunciato”. Anche il Pentagono ha preso le distanze dalla possibile offensiva turca nel nord della Siria. Con Alberto Gasparetto, dottore di ricerca in Scienza politica e relazioni internazionali all’Università di Padova e autore della monografia “La Turchia di Erdogan e le sfide del Medio Oriente – Iran, Iraq, Israele e Siria” abbiamo cercato di capire quali potrebbero essere le conseguenze della possibile invasione turca del territorio siriano.

“Gli scenari possibili potrebbero essere due – afferma l’analista -. Il primo è che la Turchia decida effettivamente di intervenire militarmente dopo il ritiro Usa. In questo caso ci troveremmo davanti ad uno scenario cupo e non solo per i curdi. La stessa Turchia si troverebbe invischiata in un’altra campagna militare dopo quella che sta portando avanti nel nord dell’Iraq da diversi mesi. Il secondo scenario è che, al momento, non accada nulla come diversi analisti e media internazionali sono propensi a credere. In effetti la dichiarazione di Trump non definisce se e quando tutte le truppe verranno rimosse. In ogni caso la Turchia prima di intervenire dovrà attendere il ritiro completo delle truppe Usa per evitare incidenti”.

Probabile una strategia attendista della Turchia?
L’avvertimento via Twitter di Trump a Erdogan, di annientare l’economia turca se supererà i limiti, potrebbe dare linfa a una strategia attendista da parte della Turchia. Va anche ricordato che

i curdi hanno un’arma a disposizione: sono loro a detenere i prigionieri dell’Isis.

Gli stessi dei quali Trump riterrà responsabile la Turchia.

Quale potrebbe essere invece la reazione della Russia, alleato di Assad, davanti alla paventata invasione turca del territorio siriano?
Putin attenderà che la Turchia faccia la sua prima mossa per vedere se potrà approfittarne da un punto di vista geopolitico. Dubito che la Russia possa intervenire visto che già presidia il versante occidentale. A reagire – e lo hanno già detto chiaramente – saranno i curdi.

Scaricati dagli Usa potrebbero entrare in orbita russo-siriana?
Un’intesa con i russi e con Assad è possibile, come farebbero intendere alcune dichiarazioni di Mazlum Abdi, comandante in capo delle forze curdo-siriane nel nord-est della Siria.

Un eventuale patto con i curdi potrebbe avvantaggiare la Russia sul piano geopolitico.

Un fatto del genere farà, però, riemergere le tensioni tra Russia e Turchia che ci sono sempre state anche se accantonate dall’agosto 2016 ad oggi. Russia e Turchia restano due rivali geopolitici, non sono alleati strategici. Hanno solo creato un’intesa tattica specifica sulla Siria.

L’Iran, altro alleato della Siria di Assad, si è detto contrario all’operazione militare turca. Anche qui si potrebbe paventare un’intesa curdo-iraniana?
Non credo percorribile un’intesa con l’Iran che ha sempre considerato i curdi come un nemico da combattere al pari dell’Iraq e della Turchia. Questo soprattutto per le mire indipendentiste curde.

Cosa resta del sogno curdo di creare uno Stato autonomo nel nord della Siria?
I curdi hanno creato questa confederazione (di fatto autonoma) del Nord-Est della Siria che è il Rojava. Un esperimento in qualche modo riuscito basato sul socialismo libertario secondo l’idea propugnata da Abdullah Ocalan, il leader del Pkk.

Se una volta sconfitto l’Isis, e poste le basi per una ricostituzione di Stato siriano, poteva essere praticabile l’idea di preservare il Rojava, ora le cose si complicano.

L’Isis potrebbe trarre giovamento da queste nuove tensioni e riorganizzarsi?
Credo di sì, nonostante lo smantellamento della sua struttura.

La galassia jihadista resta ed è ancora presente.

Ci sono tantissimi combattenti che avevano aderito all’Isis e che attendono il momento giusto per riorganizzarsi. Il vuoto eventuale che si verrebbe a creare con il possibile ritiro Usa potrebbe rappresentare una possibilità di riconquista di uno spazio perduto e dare così nuova linfa all’Isis.

La mossa di Trump ha un sapore elettorale? Dopo aver tentato, invano, di riportare a casa i soldati in Afghanistan, Trump prova adesso a ritirare il contingente americano dalla Siria per sventolare il risultato in campagna elettorale…
Mancano 13 mesi alle nuove elezioni in America e il presidente deve portare a casa un successo in politica estera che nelle campagne elettorali Usa ha sempre avuto un grande peso. Dopo i fallimenti in Iraq e Afghanistan e aver visto il suo nemico storico, l’Iran, espandersi in tutto il Medio Oriente, ora il ritiro dalla Siria può servire a salvare la faccia. Non so quanto sia razionale questa mossa di Trump.

Andando via dal Medio Oriente il presidente Usa rischia di consegnare tutta la regione a rivali come la Russia e a nemici come l’Iran. La decisione più dirompente, a riguardo, resta l’uscita unilaterale dall’accordo sul nucleare iraniano.