DIOCESI – «Il concetto non è eliminare, ma rendere vivibile ciò che ci è stato dato. Per questo motivo i medici nel giuramento che si rifà ad Ippocrate giurano di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita e il sollievo della sofferenza, di non compiere atti idonei a provocare deliberatamente la morte di un paziente». E’ un passaggio della riflessione che il dottor Carlo Di Biagio (medico chirurgo, impegnato nella Caritas Diocesana) affida a L’Ancora su una questione molto attuale in questi ultimi giorni, ossia quello dell’eutanasia.

Secondo il dottor Di Biagio: «Da diverso tempo si fa un gran parlare di alcuni temi che riguardano la vita dell’uomo per regolamentarli con leggi

specifiche. Al centro della discussione, però, non c’è l’Uomo, ma i suoi desideri  o un suo diritto chiamato autodeterminazione. Si fanno discorsi del tipo: “Io della mia vita o della vita che ho in me (Embrione) posso fare tutto quello che voglio. Per questa  mia libertà  lo Stato mi deve tutelare e permettere che io possa raggiungere i miei scopi”. Ma questo concetto è un po’ all’antipodo della legge naturale che prevede per la vita un inizio e una fine ,prevede benessere e purtroppo  in alcuni casi malattia ed invalidità».

Che fare, dunque? «Come la scienza ha favorito la vita – risponde il medico – anche in situazioni di disagio così la scienza medica deve assolutamente rendere in parte accettabile la vita in caso di disabilità, eliminando il dolore e favorendo ogni tipo riabilitazione, in modo da rendere la situazione di disagio meno disdicevole possibile per la persona. Il concetto non è eliminare, ma rendere vivibile ciò che ci è stato dato. Per questo motivo i medici nel giuramento che si rifà ad Ippocrate giurano di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita e il sollievo della sofferenza, di non compiere atti idonei a provocare deliberatamente la morte di un paziente».

Allargando poi lo spettro della discussione, Di Biagio fa poi notare come «nel mondo si è creato un movimento per l’eliminazione della pena di morte: pena per certi versi assurda. A fronte di tale movimento si è creato un fronte favorevole all’eliminazione dell’individuo su sua scelta o su scelta di qualche altro. In alcune situazioni dello Stato – vedi casi recenti in Francia ed Inghilterra – in altre  di parenti o amici o amministratori. In molti casi rimane la solitudine di una fredda stanza dove la “libertà” dell’uomo si esprime nello spingere un bottone per eliminare ogni tipo di relazione, alcune volte disgraziatamente anche molto ridotta, con il mondo che lo circonda».

«Tale scelta è una scelta riduttiva, condizionata sicuramente dai desideri di vita che ognuno ha, dalla carenza di assistenza, dalla diminuzioni di relazioni che si instaurano in certe situazioni per cui l’individuo si sente più un oggetto che un soggetto. Questi sono momenti che ci debbono portare ad una riflessione profonda e a modificare dei nostri comportamenti. Non eliminare (Morte) ma rigenerare. Il compito del medico è quello di favorire la vita senza incorrere nell’accanimento terapeutico. La vita, come già detto, ha un inizio ed una fine e questa regola va rispettata nella sua naturalità. Noi medici per molto tempo forse abbiamo trascurato la vicinanza al malato in condizioni oltremodo critiche, abbiamo demandato ad altri quelli che erano i nostri compiti di presenza. Da un punto di vista umano (Giuramento del medico) eliminare una persona è un abominio, accompagnarla eventualmente all’ultimo passo riducendo le varie disabilità con una presenza, è un dovere».

A che conclusioni giunge, dunque? «Da queste considerazioni – conclude il medico – nascono i disaccordi con una legge che vorrebbe regolamentare il fine della vita considerando i desideri e non la grandezza della vita di un uomo pur ridotto nelle sue funzioni. Aggiungere al dovere del medico di proteggere la vita l’altro di dare, cioè,  la morte su comando è un vero controsenso. Al più debole va rivolta la nostra attenzione affinché sia segno di riflessione e di attenzione. Arrogarci il potere di vita e di morte ci spinge oltre la naturalità delle cose e ci fa ricordare vecchie esperienze che pensavamo superate. Ad ognuno, ripeto, una riflessione ed un impegno. Eliminare è facile, costruire è più difficile ma è tipico  dell’uomo».

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