DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del monastero Santa Speranza in San Benedetto del Tronto.

«Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti, a te alzerò il grido: “Violenza!” e non salvi?». E’ il grido del profeta Abacuc a Dio, accusato di non intervenire, anzi, di essere proprio “spettatore” dell’oppressione, della rapina, della violenza e dell’ingiustizia.
«Accresci in noi la fede»: è il grido degli apostoli a Gesù che ha appena “chiesto” loro di perdonare sette volte al giorno il fratello che sette volte al giorno commette una colpa e sette volte al giorno torna a chiedere perdono.
«Il Signore rispose», ci dice ancora la Scrittura!
Con soluzioni o formule matematiche per ogni singolo problema? Con teorie da applicare o tecniche da praticare?
Come facciamo ad ascoltare, vedere… sciogliere il cuore, riconoscere la voce del Signore che ci parla?
«Per la sua fede…», leggiamo nella prima lettura; «…con la fede…», scrive San Paolo a Timoteo; con «un granello di senape» di fede, dice Gesù nel Vangelo.
«Il giusto vivrà per la sua fede», per la sua capacità di abbandono al Signore, per la sua necessità di affidarsi completamente a Lui, oggi e ogni giorno; il giusto vivrà perché si riconosce «pecora di un gregge che si lascia condurre dal suo pastore».
Avere fede: non si tratta di incrociare le dita nella speranza che qualcosa prima o poi accada; neanche di credere a Dio come al più grande dei maghi a cui rivolgersi, un Dio che, se ci comportiamo bene, esaudirà ogni nostra richiesta.

Non si tratta di un calcolo di possibilità o probabilità…di una eventualità…o di un giusto contraccambio a quanto il Signore vorrà operare in bene nella nostra vita!

Siamo uomini e donne di fede: siamo uomini e donne chiamati, cioè, a vivere la nostra vita per ciò che siamo, in ciò che facciamo, dove siamo, ma sempre e costantemente con l’orecchio ben aperto all’ascolto di una Parola di cui fidarci e a cui affidarci, una Parola che, sappiamo e crediamo sia l’unica “buona notizia”, la sola certezza da cui sempre partire e ripartire.
In questo senso siamo «servi inutili», non perché buoni a nulla, ma perché consapevoli che l’ordinario che siamo chiamati a vivere è lo straordinario che il Signore ha preparato per noi e nulla di meglio ci può essere riservato.
Per fede, allora, gustiamo e assaporiamo ogni istante che il Signore ci dona di vivere, consapevoli di non sapere, di non poter comprendere tutto, di non avere le soluzioni per tutto e tutti, ma certi che, chiamati da lui a fare oggi quanto dobbiamo fare, possiamo solo così vivere della forza, della carità e della prudenza che vengono dallo Spirito.

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