Nicola Salvagnin

Per carità: l’idea di restituire ai lavoratori italiani un po’ dei soldi sottratti in busta paga da un “costo del lavoro” da record mondiale – il cosiddetto taglio del cuneo fiscale – non può che suscitare vivi applausi. Va capito come verrebbe fatto e chi godrebbe di una busta paga più pesante, ma andrebbe pure capito con quali risorse si farà tale taglio. Perché se lo Stato si priva di certe entrate finanziarie sicure, da che altra parte le troverà? E una cosa è certa: non esistono “tesoretti” da cui attingere, anzi al nuovo governo è chiesto anzitutto di pescare i 20 e passa miliardi di euro per sterilizzare l’aumento dell’Iva.

È appunto in questo momento che iniziano a circolare le famose frasi fatte che non vogliono dire nulla: dal “taglio delle spese improduttive” – erano stati messi a bilancio miliardi di euro per spese improduttive? – alla “lotta all’evasione” che andrebbe fatta comunque e che sicuramente non è quantificabile a priori; fino alla mitologica “vendita dei beni pubblici” che infatti rimangono lì, pubblici per decenni. E anche qui: come è possibile quantificare gli incassi da vendite che ancora non sono state fatte, se mai si faranno?

Il fatto è che il fucile delle distrazioni di massa è ben fornito di pallottole verbali, che tali rimangono. Perché esistono due strade, le uniche, che possano giustificare il bengodi promesso da ogni governo (più pensioni, meno tasse, più sussidi…): o si “rimodella” la spesa pubblica non destinata a investimenti, che però per la stragrande parte è fatta di stipendi… Ma qual è la compagine governativa che attuerebbe una simile misura fatta di licenziamenti di massa?

O, frase magica, ci si “rivolge a Bruxelles”.

I governi italiani vanno in pellegrinaggio nella capitale belga non per innaffiarsi di birra, ma per chiedere all’Europa la possibilità di fare più debiti. Ogni volta con una valida giustificazione, ci mancherebbe altro. E non spiace solo perché la montagna del debito pubblico italiano è così alta che si vede da ogni parte del mondo, e ci costa una collina di interessi da pagare ogni anno. Spiace soprattutto perché la politica è (anche) l’allocazione delle risorse collettive per far crescere una comunità. Scelte, decisioni, obiettivi; avendo di vista il bene comune e i tempi lunghi.

Tirare a campare sulle spalle degli altri non è politica. È un’azione che Dante avrebbe sicuramente collocato in una bolgia del suo Inferno, tra i bugiardi di parole e i falsari di metalli. È ora che l’Italia torni a riveder le stelle e gli italiani pretendano chiarezza e visione.

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