SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Pubblichiamo la riflessione dell’assessore alle Pari Opportunità Antonella Baiocchi

I recenti fatti accaduti a Bibbiano, agiti da professionisti plurilaureati e di sesso sia maschile che femminile, sono una ennesima dimostrazione della mia teoria sul debolicidio:
la violenza non è peculiarità del maschio, ma dell’interlocutore che viene a trovarsi nella posizione di “forza” (fisica, di ruolo, economica, psicologica) nei confronti degli interlocutori in posizione di “debolezza”, indipendentemente dal sesso.

Violenza e prevaricazione non sono problemi legati al sesso della persona, ma alla cultura fallace della persona, maschio o femmina che sia, ancora affetti nel terzo millennio da analfabetismo psicologico: ancora come millenni fa gestiamo le relazioni con se stessi e con gli altri con “mappe mentali cavernicole” (un software con programmi infetti) che non consentono di raggiungere gli obiettivi d’amore e di rispetto che tutti hanno nel cuore.

Una delle più gravi conseguenze dell’analfabetismo psicologico è la gestione dicotomica delle divergenze: ogni divergenza viene gestita con delle modalità che prevedono come unica soluzione la soppressione di ciò che si considera sbagliato per cui, uno dei due poli oggetto della divergenza deve necessariamente soccombere. Dunque il polo che si trova in una posizione di forza (economica, fisica, di ruolo, psicologica) tenderà a prevaricare quello che si trova in situazione di debolezza.

Ora è necessario capire che alla base della gestione dicotomica delle divergenze c’è la pretesa di conoscere la verità assoluta (un vero e proprio “virus” che impedisce di attuare il reciproco rispetto). A causa di questo analfabetismo psicologico, chiunque, quando si trova nella posizione di poterlo fare, prevarica l’interlocutore che si trova nella posizione di debolezza… come in questo eclatante fatto di “mala social- legal-sanità”.

Dopo questa premessa mi calo un po’ più nel dettaglio della situazione. Sulla base non solo di quanto afferma la letteratura cognitivo-comportamentale, ma soprattutto della mia esperienza clinica, sono propensa a credere che i “professionisti” che hanno compiuto queste nefandezze nei confronti di tanti bimbi e famiglie, (almeno coloro che abbiano acquisito nella loro storia educativa un barlume di coscienza) non siano stati animati solo dalla bramosia di business (come molti invece sono proponsi a credere): è molto probabile che a monte delle loro azioni ci sia la convinzione di attuare, con quelle azioni, anche un atto di personalissima giustizia con ragionamenti del tipo “quei bambini, saranno sistemati in un posto migliore di quello in cui stanno” oppure “quel tipo di genitori non ha il diritto di allevare figli”. La pretesa, insomma, di conoscere dove sia la verità: il giusto e lo sbagliato, il meglio e il peggio, il buono e il cattivo.

Questo pensiero onnipotente (“io capisco ciò che gli altri non comprendono”), è spesso ciò che spinge a trovare il coraggio di mettere in atto certe azioni. Fornisco qualche limitato esempio: Hitler era convinto di avere la verità e ripuliva il mondo da persone che lo inquinavano; i terroristi sono convinti di avere la verità e fanno stragi di “infedeli”; gli infermieri killer sono convinti di fare un atto di giustizia liberando la società dagli inutili anziani (o liberando il malato da future ulteriori sofferenze); così come spesso si uccide il partner perché convinti di attuare un atto di giustizia: “meriti di essere punito perché non dovevi comportarti come ti sei comportato.

Alla base di ogni conflitto, dentro e fuori casa, di ogni pregiudizio, fondamentalismo, estremismo, di ogni prevaricazione e violenza (come le azioni che ha fatto questo “nefasto gruppo di pseudo professionisti”) c’è sempre la pretesa di conoscere da che parte sia la verità.

Come affermo da tempo e riassumo nel libro “La Violenza non ha sesso” (Edito da Alpes Italia Editori), per uscire dal circuito della violenza bisogna prima di tutto superare le falle a monte dell’attuale interpretazione della violenza nella relazione affettiva: si tende a credere che la violenza abbia più matrici, invece la violenza ha un’unica matrice: l’analfabestismo psicologico, che induce alla gestione dicotomica delle divergenze. Bisogna capire che a cambiare è l’oggetto della violenza (maschio, femmina, animale, bimbo, figlio, genitore, etc.) e la modalità con cui la violenza viene attuata, ma la matrice è sempre la stessa!

Ci si dovrebbe concentrare sul dualismo Forte/Carnefice – Debole/Vittima, capendo che sia l’uomo che la donna, affetti da analfabetismo psicologico utilizzano violenza se si trovano nella posizione di poterlo fare.

Considero un dovere sociale imprenscindibile iniziare a contrastare l’analfabetismo psicologico con modalità più serie ed efficaci. Il percorso verso l’alfabetizzazione psicologica è lungo, ma credo che ci siano delle scelte prioritarie che non possono più essere rimandate, che chi amministra dovrebbe urgentemente attivarsi per realizzare:
1) inserire la “Conoscenza della Psiche” come materia di obbligo in tutte le scuole, fin dalle scuole primarie, iniziando a parlare di ABC della psiche e relazione
2) offrire un servizio di psicoterapia accessibile a tutti.
3) istituire la figura professionale dello Psicologo di Famiglia, un professionista convenzionato tanto quanto il Medico di Famiglia, al quale rivolgersi per prevenire e fronteggiare ogni forma di dolore psicologico.
4) creare dei centri di riabilitazione della persona maltrattante (uomo donna)
5) creare Centri Anti Violenza che accolgano anche uomini che subiscono violenza: a causa dei retaggi culturali che ancora persistono, l’uomo che subisce violenza relazionale è tra gli esseri viventi meno tutelati: in Italia, ad oggi, lo Stato non ha investito un euro per prevenire e fronteggiare questa piaga sociale.

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2 commenti

  • Francesco Cognigni
    19/07/2019 alle 12:25

    Non è facile trovare le parole per esprimere tutto il rispetto e l'ammirazione, per questa grande Amica, una persona speciale, sono orgoglioso della sua Amicizia

  • Bea
    25/07/2019 alle 11:42

    Una eccellente riflessione,sono una mamma di un ragazzo con disabilità,ne abbiamo passato tante disagi ,per persone incompetenti. Complimenti dottoressa ,lei è un orgoglio.

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