Sarah Numico

Vincent Lambert era vivo, non aveva aiuti per restare in vita, se non l’alimentazione e l’idratazione, cioè le cose di cui tutti noi abbiamo bisogno”. Lo spiega mons. Bernard Ginoux, vescovo di Montauban, al telefono. “Certo lo si faceva con una sonda perché non si sapeva esattamente se fosse in grado di deglutire normalmente”. Ma la cosa veramente “anormale” è che “dal 2013 non ci si è più occupati di lui, mentre lo si sarebbe dovuto trasportare in un centro specializzato per questo genere di persone che hanno una relazione alterata, ma pur sempre presente”. Racconta ancora il vescovo che “Lambert aveva stati di veglia e stati di sonno, seguiva con lo sguardo. E lo si vede anche dal fatto che ci ha messo dieci giorni a morire: c’era in lui una forza di vita, cosa che i suoi genitori hanno cercato di sottolineare”.

Lambert “è un martire del mondo contemporaneo” e la sua morte “è inammissibile rispetto alla coscienza umana, perché non si può uccidere – lo dice la legge – e rispetto alla coscienza cristiana, perché non possiamo metterci al posto di Dio che è il Signore della vita”. Non è importante che la famiglia fosse cattolica, precisa il vescovo: ciò che vale è il fatto che “è un essere umano, che ha il diritto al rispetto della vita”. “Perché domani”, aggiunge il vescovo, “correremo il rischio di applicare la stessa procedura a persone anziane o gravemente handicappate”.  Questo caso “pone un grande problema di civilizzazione e la Francia lentamente avanza con la procreazione medicalmente assistita o questi episodi, verso l’alterazione dell’umano”.

“Ci sono 1.500 persone in Francia nella stessa situazione di Lambert”, a cui si possono aggiungere altri casi noti, come quello del pilota tedesco Michael Schumacher, che mons. Ginoux cita. Lambert è stato sottoposto a questo trattamento, “affermando che avrebbe dettonon voler vivere in quelle condizioni”. Ma alla luce degli anni passati in ospedale a fianco di tante persone in fin di vita “ho visto persone che in punto di morte chiedevano di essere ancora curate per poter continuare a vivere, mentre in altri momenti avevano pensato il contrario. Quello che diciamo quando siamo in vita, dopo è diverso. E comunque non c’era la certezza che Lambert lo avesse detto.”.

Vincent Lambert “è un martire del mondo contemporaneo” e la sua morte “è inammissibile rispetto alla coscienza umana, perché non si può uccidere, lo dice la legge, e rispetto alla coscienza cristiana perché non possiamo metterci al posto di Dio che è il Signore della vita”.

Mons. Ginoux lo ha scritto tante volte in queste settimane e mesi  anche via twitter: “noi dobbiamo rispettare questa vita completamente e aiutare a vivere è il nostro dovere di cristiani. La vita è un dono di Dio e non abbiamo diritto di sopprimerla, e nessuna legge può passare al di sopra di questo.

Non c’entra il fatto che la famiglia fosse cattolica, precisa il vescovo: “È un essere umano che ha il diritto al rispetto della vita. Perché domani, correremo il rischio di applicare la stessa procedura a persone anziane o gravemente handicappate”.  Con questo caso si “pone un grande problema di civilizzazione e la Francia lentamente avanza con la procreazione medicalmente assistita o questi episodi, verso l’alterazione dell’umano”.

“Penso non si voleva che vivesse a lungo”: spiega il vescovo che “in Francia c’è una lobby favorevole all’eutanasia molto forte. Hanno impugnato questo caso per dire che invece che farlo morire lentamente, lo si sarebbe dovuto uccidere subito, perché sarebbe stato meglio per lui”. Negli anni si sono succeduti i pronunciamenti: per alcuni non aveva consapevolezza, altri esperti dicevano il contrario. “C’è stata la volontà medica di una sorta di inerzia per non fare nulla”. Il caso di Lambert è “emblematico e in qualche modo farà giurisprudenza” perché adesso si dirà, anziché attendere sarebbe stato meglio farlo subito e si arriverà a una eutanasia di comfort.

“Questo è il pensiero che oggi guida la medicina in tanti ospedali in Francia: il desiderio di dominare, di essere signora della vita e della morte. Curiosamente provoca la morte per non dover affrontare il fallimento. C’è un eccesso di medicalizzazione, come ad esempio nelle gravidanze, e se c’è il minimo dettaglio che non quadra, se si intercetta qualcosa, si spinge la donna ad abortire. È sistematico. Allo stesso modo, quando non si riesce più a curare qualcuno la medicina vuole farlo sparire, come se fosse un fallimento  medico”.

Un problema che avanza però sono anche i casi di persone (anche cattoliche) che vanno in Belgio o in Svizzera nelle cliniche della morte e “questo pone una grande domanda alla coscienza”. Sono “suicidi preparati, voluti per paura della malattia e della morte, e paradossalmente, la si provoca. Quello che non si vuole più è applicare principi come il rispetto della vita, lo si elimina dai nostri pensieri, dalla nostra coscienza, anche tra i cristiani”.

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