“Noi cristiani in Medioriente siamo sempre stati in minoranza nella storia sotto tutti gli imperi. La qualità della nostra presenza e testimonianza ha fatto vincere l’essere e il rimanere cristiano sulla terra di Cristo. Non è il numero che conta ma è la qualità della nostra presenza, il fatto che siamo uniti e che conserviamo i valori umani. La nostra grande speranza è che lo scontro delle religioni non ci sarà. La responsabilità è nostra come cristiani”.

Lo ha detto mons. Mounir Khairallah, vescovo maronita di Batroun (Libano), durante una visita all’Università cattolica di Milano. “In questa grande crisi tra sciiti e sunniti – ha spiegato il vescovo – siamo noi gli unici a poter fare da ponte. Se i cristiani sparissero dal Medioriente non ci sarebbe più vita neanche per i musulmani perché anche loro hanno paura: non ci sono luoghi dove sciiti e sunniti vivono insieme, i cristiani sono gli unici a saper vivere con tutti”. “Questa è la nostra responsabilità, la nostra missione – ha sottolineato mons. Khairallah -. I cristiani del Medioriente non spariranno. Come diceva San Giovanni Paolo II, noi siamo un ‘Paese messaggio’, un Paese modello per tutti i Paesi del mondo grazie alla convivialità tra le 18 comunità presenti sul territorio libanese. Vogliamo dire a tutti che il vivere insieme è sempre possibile”. Il vescovo libanese si è poi soffermato sulla situazione dei rifugiati siriani in Libano, oltre 1,5 milioni su una popolazione di 4,5 milioni, circa il 30%. “Nonostante la Siria abbia occupato militarmente il Libano per 30 anni – ha dichiarato il presule – i libanesi continuano ad accogliere per tradizione tutti coloro che non si sentono di poter vivere degnamente nella loro terra. Tuttavia la situazione è faticosa a livello sociale, politico ed economico. Consideriamo da un lato che i profughi attualmente in Libano, se non si sbloccherà la situazione, inevitabilmente non vorranno più rientrare. Basti pensare che oggi nascono 60.000 bambini siriani in Libano contro 50.000 libanesi”. “Chiediamo da tempo alle grandi potenze e all’Onu di aiutare i rifugiati a rientrare nel loro Paese ma non ci stanno ascoltando perché sarebbe un riconoscimento ufficiale del regime di Assad. La nostra richiesta non ha un significato politico ma unicamente di carattere umanitario”, spiega mons. Khairallah che spera “in una soluzione al più presto possibile per lasciarci decidere da soli le nostre sorti. Gli interessi economici e politici in gioco sono così grandi che non ci danno questa possibilità. Basti pensare che in questo momento americani e russi stanno lottando per avere la parte più grande dell’investimento per la ricostruzione della Siria che secondo un calcolo degli Stati Uniti ammonta a 600 miliardi di dollari”.

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