Stefano De Martis

Un’opinione pubblica che vive nell’incertezza di una grande transizione e che scommette di volta in volta sul “venditore di speranza” più attraente. Così Paolo Pombeni, storico e politologo, uno dei più autorevole analisti della realtà italiana, commenta l’esito di una tornata elettorale che ha riservato ancora una volta non poche sorprese.

Si aspettava questo risultato? I sondaggi delle ultime settimane indicavano una frenata della Lega e un recupero del M5S.
No, non credevo che i sondaggi fossero tanto lontani dal percepire la vittoria così notevole della Lega e la caduta rovinosa dei Cinquestelle. Mi aspettavo una Lega al 30% e invece il 34% è qualcosa che va oltre i quattro punti in più, è una sorta di passaggio del Rubicone. Così pure mi aspettavo il M5S intorno al 20-21%, mentre il 17% è veramente un arretramento molto sensibile, paragonabile in negativo al risultato della Lega.

Evidentemente è sempre più vero che una parte consistente dell’elettorato decide poco prima di entrare nella cabina per votare.

E ora che cosa accadrà? Lo scenario uscito dalle urne è proprio quello che secondo la maggior parte degli analisti avrebbe più facilmente portato il governo alla crisi, mentre una minore distanza tra Lega e M5S avrebbe rafforzato l’esecutivo.
Fare previsioni in una situazione del genere è molto complicato. Si può pensare, da un lato, che il duello rusticano tra i due partiti di governo continuerà in qualche modo perché, se il risultato elettorale è molto chiaro, è anche vero che i numeri in Parlamento e nel governo sono diversi. Sarebbe strano che con questi numeri Di Maio si arrendesse senza combattere. Dall’altro lato, l’unica arma di cui Salvini dispone è il ricatto delle elezioni anticipate, ma è un’arma meno forte di quanto potrebbe apparire perché il leader leghista non ha la certezza di un risultato definitivo. Alle europee ha vinto, ma non in misura tale da aspettarsi un controllo totale e autonomo della gestione post-elettorale di un voto politico: Forza Italia è un convitato di pietra e oggi ha il ruolo condizionante che i partiti più piccoli avevano nella Prima Repubblica. Salvini ha anche un problema di tempi.

Se forzasse la mano e andasse subito al voto correrebbe il rischio di passare per uno sfasciacarrozze e non è detto che l’elettorato apprezzerebbe questo ruolo. Se invece rinviasse si troverebbe davanti una legge finanziaria estremamente difficile e non sarebbe agevole andare alle elezioni con questo fardello sulle spalle.

Tanto più che a livello europeo la distribuzione dei poteri non cambierà e non ci saranno sconti per l’Italia. Con il paradosso che tra i più esigenti rispetto ai criteri di rigore finanziario ci saranno proprio alcuni di quelli che Salvini considera suoi alleati.

Il 40% di Renzi alle europee del 2014 si è dissolto in pochi anni. Il 32% di Di Maio alle politiche del 2018 si è sgonfiato in un solo anno. Adesso Salvini ha di fronte la sfida di gestire questo nuovo boom. Staremo a vedere. Di sicuro, però, c’è che la volatilità delle scelte dell’elettorato ha raggiunto livelli prima impensabili. Perché?
Anche se spesso la politica sembra dimenticarlo, il punto è che ci troviamo immersi in un’enorme transizione storica e l’opinione pubblica in qualche maniera se ne rende conto. In questa situazione d’incertezza, si finisce per scommettere di volta in volta sul ‘venditore di speranza’ più attraente. Salvo poi aspettarsi di andare all’incasso nel giro non dico di alcuni anni, ma di pochi mesi e se questo non avviene si è subito pronti a una nuova scommessa.

Come spiega l’aumento dell’astensionismo in controtendenza con il resto d’Europa?
In parte credo che ci sia stata una reazione all’overdose di propaganda a cui si è assistito.

Temo poi che ci sia anche un po’ di sfiducia generalizzata nei confronti della capacità della politica di risolvere i problemi.

Altrove qualcosa è accaduto, da noi si è rimasti sostanzialmente fermi. Naturalmente i partiti che sono in grado di mobilitare i loro fan club subiscono meno le conseguenze di queste dinamiche e questo spiega perché l’astensionismo abbia colpito in maniera non uniforme le forze politiche.

In controtendenza con il resto d’Europa c’è anche l’esito dei Verdi, che altrove hanno ottenuto risultati di grande rilievo e si apprestano a giocare un ruolo decisivo nelle istituzioni dell’Unione, mentre da noi sono si sono fermati a poco più del 2%, senza potere eleggere alcun europarlamentare.
È un’anomalia italiana, non c’è dubbio. Eppure il tema dell’ambiente è sentito dall’opinione pubblica, la mobilitazione per la difesa del pianeta ha avuto grande seguito. A mio avviso mancano figure credibili e che non si presentino con posizioni estremiste.

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