Di Pietro Pompei

Con il 19 Marzo, la Chiesa ci ha riproposto la figura di San Giuseppe: un Santo che ,inserito quasi di soppiatto nella storia della redenzione, continua ad essere esempio di vita e fonte di meditazione. Nella santa famiglia di Nazaret, è certamente la componente più fragile, più umana e forse per questo la sentiamo più vicino più imitabile. San Giuseppe è parte indispensabile nella realizzazione del progetto di Dio che ha voluto nella famiglia, concretizzare l’opera della salvezza, La famiglia è privilegiata, perché è la comunità a cui è stato fin dall’inizio demandato il compito di perpetuare la creazione. E se il peccato coinvolse la prima famiglia, la redenzione doveva avvenire nello stesso ambiente.

Tante volte mi son chiesto: ”Perché, tra tanti giovani del tempo, timorati di Dio, proprio Giuseppe fu scelto?” Poche sono le notizie che ci forniscono i Vangeli per poter dare una risposta esauriente; forse, anche per questo, la figura di questo Santo resta di una stupefacente attualità. Nell’esortazione apostolica “Redemptoris Custos”,il Papa, San Giovanni Paolo II, afferma: “E’ certo che la figura di San Giuseppe acquista una rinnovata attualità per la Chiesa del nostro tempo, in relazione al nuovo Millennio cristiano”. Proprio in questo nostro tempo, in cui fanno tanto rumore le famiglie disastrate, cerchiamo nell’amore che unì Giuseppe e Maria e nel loro matrimonio aspetti di “una realtà nuova, un sacramento della nuova Alleanza” (Paolo VI).
La famiglia, come istituzione indispensabile nell’evoluzione storica dell’umanità, è stata sistematicamente messa in crisi per quel piacere al disordine che è un’eredità del peccato. Solo l’autentico amore, la può salvare. Il grande amore che Giuseppe nutriva per Maria, è stato manifestato nel momento in cui tutto sembrava congiurare contro. Infatti se nella “promessa sposa” ci fosse stato solo il legame di un “contratto” Giuseppe si sarebbe visto defraudato ed avrebbe fatto, in modo clamoroso, come era usanza, ricorso alla legge. Questo amore era stato nel disegno provvidenziale una libera scelta in cui erano entrati in gioco tutti gli elementi dell’innamoramento. E Giuseppe di fronte al presunto tradimento, non accusò, ma diede tempo alla riflessione per capire come poteva essere avvenuta una scelta così sbagliata. Si mise in discussione, cercando il modo migliore per far uscire la sua “promessa sposa” da questa situazione. E questo è stato il tempo dato a Dio per intervenire. Quanti matrimoni potrebbero essere salvati se, invece di passare subito alle reciproche accuse, segno di grande egoismo, gli sposi dessero tempo a Dio di intervenire, osservando un periodo di silenzio, di attesa e di umiltà?

Nel rapporto poi, con il figlio, Giuseppe è stato un padre “in ascolto”. Oggi i padri non hanno più il tempo per ascoltare i propri figli. Il cancro che corrode molti rapporti tra figli e genitori sta proprio qui. I Vangeli non riportano alcun discorso di Giuseppe, ma la sua preoccupazione per quel figlio “un po’ indisciplinato” ormai adolescente la si avverte dalle parole di Maria: “Tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo”. E non reagì alla risposta, un pò provocatoria di Gesù, accettò anche senza capirla ed ottenne ,come risultato, che il figlio restò “sottomesso” ai suoi genitori fino a trent’anni. Quale esempio per tanti padri!

Scriveva Papa Benedetto XVI che nella partecipazione ai misteri dell’incarnazione e della redenzione in un ruolo così estremamente delicato e difficile, quale quello di essere addirittura la controfigura del Padre celeste, costituisce la grandezza unica di San Giuseppe, che gli ha meritato di essere chiamato da Gesù con il nome di padre.

 

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