Stefano De Martis

Dall’apertura del primo sportello a Padova sono passati vent’anni e oggi Banca Etica ha 42.500 soci, 17 filiali in Italia, da Trieste a Palermo, una raccolta di risparmio pari a un miliardo e mezzo di euro e impieghi per oltre 900 milioni. I numeri contano, nel bilancio del ventennale, ma non sono tutto e forse neanche l’aspetto più importante per una realtà che rappresenta l’unico istituto di credito italiano interamente connotato in senso etico. E che, paradossalmente, si è ritrovato a essere più genuinamente banca di tanti altri istituti sempre più impegnati sul terreno della finanza. Ne parliamo con il presidente di Banca Etica, Ugo Biggeri.

Dopo vent’anni possiamo dire che quella di Banca Etica è una scommessa vinta?
Direi proprio di sì. I numeri sono buoni, la banca è solida e, forse anche al di là di quanto ci aspettavamo, è molto buona anche la qualità del credito. Insomma è una scommessa vinta sia sul piano dell’impresa che su quello del progetto ideale.

In che senso una banca può essere “etica”? Nel linguaggio corrente l’accostamento di questo aggettivo al termine “banca” suscita ancora un certo scetticismo…
Una banca è etica quando pone attenzione alle conseguenze sociali e ambientali rispetto alle voci principali del suo bilancio, cioè su crediti e investimenti. Mi spiego: una banca è etica non tanto perché – per fare un esempio – è attenta al risparmio energetico nelle sue strutture, anche se è bene che lo sia e che lo siano tutte le banche. Ma è etica soprattutto per i criteri che segue nella sua ‘politica’ del credito, perché alla valutazione d’impresa unisce la valutazione sociale e ambientale. Ci stiamo anche attrezzando per poter offrire una misurazione degli effetti delle scelte di credito effettuate.

E’ anche una questione di trasparenza?
Certo. Pensi che tutte le persone giuridiche che hanno ricevuto un finanziamento sono indicate sul web.

L’esperienza di Banca Etica è riuscita a essere in qualche modo contagiosa?
Ha avuto il pregio di far emergere la presenza di un segmento di mercato legato a una sensibilità per i temi sociali e ambientali. Se anche la prima banca italiana ha compiuto delle scelte in questa direzione, vuol dire che l’attenzione è cresciuta. C’è poi un secondo aspetto che anche la crisi economica ha contribuito a far venire fuori.

Banca Etica è stata capace di essere banca nel senso autentico di questa parola: raccoglie i soldi delle persone e li impiega per sostenere l’economia reale, non per investire tutto nel mare dei mercati finanziari.

Tenga conto che, mediamente, nelle altre banche i ricavi derivati dal credito sono pari soltanto al 40%, il resto proviene dagli investimenti finanziari. Per Banca Etica e anche per molte banche locali tale quota arriva al 70%. Prima ancora della scelta ‘etica’, c’è questa dimensione tradizionale dell’essere banca a sostegno dell’economia reale. Il riferimento è a quella funzione sociale del risparmio di cui parla anche la Costituzione.

Lei ha accennato alla grande crisi economico-finanziaria. Come l’avete affrontata e quale impatto ha avuto sulla vostra esperienza?
L’abbiamo affrontata proprio riscoprendo il valore di fare banca al servizio dell’economia reale. Comunque il nostro modello ha funzionato alla grande:

siamo cresciuti del 10% all’anno e così pure il credito erogato è cresciuto in misura analoga,

mentre altrove si riduceva anche in termini rilevanti.

Economia reale vuol dire un legame forte con il territorio. In che maniera, invece, Banca Etica vive la dimensione internazionale?
Siamo presenti anche in Spagna. Abbiamo una filiale a Bilbao, il 29 marzo ne inaugureremo una a Madrid e presto anche a Barcellona. Tengo però a sottolineare che questa presenza non è il risultato di una logica commerciale, ma è il frutto di uno sviluppo cooperativo, di una condivisione ideale nata con alcune realtà spagnole, tra cui la Caritas locale. Più in generale, siamo tra i fondatori delle reti che a livello europeo e internazionale riuniscono le realtà impegnate nella finanza etica e sostenibile. Sono strumenti di confronto molto importanti e contribuiscono a mettere in evidenza che Banca Etica non è una mosca bianca…

Banca Etica ha un ‘padrone’?
Siamo una realtà cooperativa con oltre 42mila soci e non c’è un gruppo che detiene il potere, se capisco il senso della sua domanda. Piuttosto crediamo molto nei meccanismi di partecipazione e ci siamo organizzati per favorirla.

Abbiamo un’interazione continua con i ‘soci di riferimento’ che sono soggetti giuridici di varia natura e orientamento, tra cui molte realtà dell’associazionismo cattolico e la Caritas italiana.

Uno strumento di partecipazione unico nel panorama bancario è costituito dai Gruppi di iniziativa territoriale, che assicurano anche un legame vitale con le comunità locali. Un terzo fattore di partecipazione è quello dei soci lavoratori.

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