DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del monastero Santa Speranza in San Benedetto del Tronto.

«Il frutto dimostra come è coltivato l’albero, così la parola rivela i pensieri del cuore»: scrive così l’autore del Libro del Siracide, a cui fa eco Gesù nel Vangelo: «…la [sua] bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda».

Cosa sovrabbonda nel nostro cuore? E, di conseguenza, quale parola sovrabbonda sulla nostra bocca? La nostra parola, quali pensieri del cuore rivela?

Nel cuore possono affollarsi istinti, emozioni, presunzione di sé, arroganza, sete di potere, avere, autoreferenzialità…e, quindi, la bocca tirerà fuori solo parole di morte, di divisione, di prevaricazione, i nostri frutti saranno solo cattivi.
Un cuore e delle parole che non ci lasciano avvicinare il fratello ma solo giudicarlo, additarlo. Un cuore e delle parole con cui ci ergiamo a paladini di una giustizia che è solo nostra, di un vedere ed un sentire, come dice Gesù, ipocriti.
«Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio” mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita!».
Ipocriti ci chiama Gesù quando ci nascondiamo la realtà di noi stessi soffocando le nostre relazioni con l’unico obiettivo della nostra realizzazione personale, con la proiezione sull’altro dei nostri bisogni, con l’abbassare l’altro annullando le sue potenzialità. Gesù ci insegna che, prima di puntare il dito sull’altro ed ergersi a suo maestro e giudice, occorre riconoscere di aver bisogno di imparare a camminare nella vita. Egli ci dice: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro, ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro». Egli parla a noi quando non riconosciamo le nostre incapacità, i nostri limiti e abbiamo la pretesa di voler insegnare agli altri, quando non sappiamo riconoscere il male che ci abita e lo cerchiamo bramosamente nell’altro.
Siamo chiamati a non abbandonare mai la scuola del Maestro che è Cristo, affinché dalla sua vita e dalla sua Parola attingiamo “quanto” necessario, vitale per la nostra storia.
Un Maestro che, come dice il salmo, ama, è fedele, è giusto, è retto, è saldo, «in lui non c’è malvagità».
«Rimanete saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore»: è l’invito di Paolo, nella seconda lettura, ad avere come fermo riferimento proprio questo Gesù Cristo.
«Piantati nella casa del Signore», radicati e stabili nella sua parola, possiamo crescere «come cedro del Libano», cioè forti, saldi, possiamo portare frutti buoni, essere «verdi e rigogliosi», possiamo dare cibo e dissetare, far sgorgare dal nostro cuore parole di vita per la vita di chiunque!

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