Matteo Truffelli, presidente nazionale Azione cattolica italiana

L’Europa non si farà in un giorno, né senza urti. Nulla di duraturo si realizza con facilità. Tuttavia essa è già in cammino”. Sono parole scritte oltre mezzo secolo fa da Robert Schuman, uno dei “padri fondatori” dell’Unione europea. Non si nascondeva le asperità che si paravano innanzi a un progetto politico ambizioso e complesso, chiamato ad attraversare difficili tornanti della storia. Ma questa consapevolezza non lo faceva arretrare, anzi, alimentava in lui la convinzione che proprio dentro quelle difficoltà si sarebbero date le condizioni per un percorso in cui popoli e Stati avrebbero potuto lavorare alla costruzione di una “casa comune”, fondata sul desiderio condiviso di pace, libertà, democrazia e benessere.

L’Europa è un cammino, ci ricorda Schuman, e ogni cammino è fatto anche di fatica, di ricerca della strada migliore, di qualche passo falso.

Le elezioni europee verso cui siamo avviati segneranno un passo in avanti per il rafforzamento della casa comune, o ci faranno tornare indietro, verso una nuova epoca di chiusure, di egoismi nazionali, di diffidenze reciproche? Sapremo trovare la strada per continuare a camminare insieme o ci perderemo nel labirinto dell’euroscetticismo e dell’antieuropeismo? Per la prima volta, la campagna elettorale che si sta aprendo rischia di trasformarsi in un referendum pro o contro l’Europa, e la dissoluzione del progetto europeo appare come una prospettiva non più solamente teorica. In tanti, anche con toni calibrati e suadenti, vorrebbero convincerci che in fondo non sarebbe un disastro. Che da soli potremmo stare meglio, tornare a essere “padroni a casa nostra”. Ma è proprio la complessità del tempo presente, in cui la cosiddetta globalizzazione ci porta fin sulla soglia di casa sfide mondiali, a dimostrarci ogni giorno che nessun Paese, oggi, può permettersi di procedere in solitudine. È quello che abbiamo scritto nella recente lettera aperta firmata da diverse realtà del mondo cattolico italiano: “Per esistere e resistere in un mondo grande e complesso, oggi più che mai abbiamo bisogno di un’Europa unita”.

Attorno al destino dell’Europa, insomma, si deciderà buona parte del nostro futuro.

Provo allora, a tre mesi dal voto del 26 maggio, a proporre quattro sottolineature. Per prima cosa, occorre ribadire che l’Unione europea potrà sopravvivere solo se sarà capace di fare un balzo in avanti. Se cesserà di essere “soltanto un sistema di alleanze o una coalizione di interessi”, per diventare “una comunità di destini”, a partire dai temi unificanti della crescita, del lavoro, della centralità della persona, della tutela della famiglia, della solidarietà, della lotta alla povertà, della riduzione delle diseguaglianze sociali.
Questo significa anche – ed è una seconda sottolineatura, presente anche nel recente manifesto redatto dalle associazioni che aderiscono a Retinopera – che è sempre più urgente identificare gli indispensabili cambiamenti istituzionali di cui l’Europa ha bisogno per potersi rilanciare politicamente. Negli anni recenti l’Ue ha mostrato tutti i suoi limiti di fronte alla crisi economica, alle pressioni migratorie, alle minacce del terrorismo. E ciò è avvenuto anche perché i governi degli Stati membri non hanno assegnato alle istituzioni comunitarie poteri e competenze adeguate per agire. Da qui il bisogno di cambiamenti, che vadano nella direzione di un’Europa più coesa, più efficace, più giusta.
In terzo luogo,

abbiamo bisogno che l’Europa torni ad essere “attrattiva”,

capace di coinvolgere e appassionare i cittadini, le parti sociali, i territori che la compongono. Si avverte la necessità che l’europeismo torni a sgorgare dal basso, dalla condivisione di un sogno. Ben venga allora la promozione di una simbologia europea, la ricerca di volti, emblemi, progetti che consentano ai cittadini europei di identificarsi con la loro patria comune. Ma è ancora più necessario che le istituzioni europee riguadagnino credibilità agli occhi dei propri in cittadini facendoli sentire rappresentati, raccogliendone ed esprimendone le istanze, i bisogni, le aspirazioni e le capacità. Abbiamo bisogno di istituzioni che siano più vicine alla gente e non solo ai governi, alle burocrazie o ai poteri economici.
Abbiamo anche bisogno, però, di cittadini più vicini all’Europa. Per rilanciare il “cantiere Europa” occorre – quarto ma non ultimo elemento – più partecipazione, più senso di responsabilità, più coinvolgimento, razionale ed emotivo, da parte dei cittadini europei. Tocca innanzitutto a noi, ai cittadini, rilanciare il progetto europeo, riscoprendo le ragioni del nostro stare insieme: quelle storiche, che sono ragioni di pace, di affermazione dei diritti, di arricchimento culturale, e non solo di benessere economico, e quelle che derivano dalle tante nuove sfide che abbiamo davanti. Tocca a noi credere fino in fondo all’importanza di continuare a camminare insieme per affrontare i nuovi tornanti che la storia ci pone davanti. Senza arretrare, senza rinunciare a fare del nostro continente uno spazio di promozione dei diritti, della libertà, della giustizia sociale. Non solo per noi, ma anche per gli altri continenti, a partire da quelli che si affacciano sul Mediterraneo.

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