Andrea Regimenti

Tre giorni per conoscersi, scambiarsi idee, esperienze e progettualità, e anche “esprimere gratitudine a quanti, con la loro disponibilità, sono segno di autentica fraternità, lungimiranza e coraggio, costruttori di una cultura inclusiva”. Questo, l’obiettivo del meeting “Comunità accoglienti: Liberi dalla paura”, promosso, dal 15 al 17 febbraio a Sacrofano (Rm), da Caritas italiana, Centro Astalli e Fondazione Migrantes. Famiglie, parrocchie, associazioni, realtà diverse che hanno scelto di ospitare e integrare i migranti presenti nel nostro Paese si sono incontrate per condividere esperienze e testimonianze. Un’occasione, spiegano gli organizzatori, “per dare voce a quell’Italia che, come ha detto Papa Francesco, ‘nella fedeltà alle proprie tradizioni, mantiene vivo quello spirito di fraterna solidarietà che l’ha lungamente contraddistinta’” e per redigere un Documento sul tema dell’accoglienza. All’incontro hanno partecipato 500 persone provenienti da 38 nazioni, tra cui molti rifugiati, e 90 diocesi italiane che in particolare, nella giornata di venerdì 15 febbraio, hanno incontrato il Papa che ha presieduto una celebrazione ecauristica per ribadire che rinunciare all’incontro con l’altro “non è umano”.

(Foto Vatican Media/SIR)

La paura è l’origine della schiavitù.“Volevo ringraziarvi per quello che fate. È un piccolo passo, ma un piccolo passo fa il grande cammino della storia”, ha detto Papa Francesco ai partecipanti, sottolineando come il “ripiegamento su sé stessi, segno di sconfitta, accresce il nostro timore verso gli altri, gli sconosciuti, gli emarginati, i forestieri”.

“La paura è l’origine della schiavitù”,

ha spiegato il Papa, ed è anche “l’origine di ogni dittatura, perché sulla paura del popolo cresce la violenza dei dittatori”. Per questo, ha concluso, dovremmo cominciare a ringraziare chi ci dà l’occasione di questo incontro, ossia gli altri che bussano alle nostre porte, offrendoci la possibilità di superare le nostre paure per incontrare, accogliere e assistere Gesù in persona”.

foto SIR/Marco Calvarese

Le migrazioni non sono il male del nostro tempo. “Non avere paura, non ripiegare su certezze consolidate per evitare il rischio di esporci, ad avere il coraggio di fidarci, fino al dono di noi stessi”, è l’esortazione di mons. Stefano Russo, segretario generale della Cei, che ha ringraziato Papa Francesco “perché con il Suo insegnamento ci incoraggia a non avere paura e ci dà l’esempio”. “E con Lei vogliamo ringraziare anche la testimonianza di tante persone, che continuano a tenere aperta al fratello la loro porta e il loro cuore. Sono comunità accoglienti – ha concluso mons. Russo -, capaci di essere segno e lievito di una società plurale, costruita sulla fraternità e sul rispetto dei diritti inalienabili di ogni persona”.

“Il Papa – ha rimarcato al Sir mons. Guerino Di Tora, vescovo ausiliare di Roma e presidente della Fondazione Migrantes. – è venuto a esprimere la sua vicinanza e direi anche il ringraziamento a coloro che nel silenzio, nella semplicità della vita quotidiana hanno saputo vivere il Vangelo dell’accoglienza”. “Sappiamo tutti quanto il problema delle migrazioni sia oggi un punto nevralgico della nostra geopolitica e quindi diventa veramente un grosso impegno”, ha affermato mons. Di Tora. Tuttavia, ha precisato,“le migrazioni non sono il male del nostro tempo.

I migranti non sono coloro che vengono a rubare il lavoro e a portare il disagio. Sono coloro che vogliono, cercando una speranza nuova, costruire insieme a noi, una nuova società”.

A fare eco alle parole del Papa anche i direttori delle organizzazioni promotrici del meeting:

“Come organismi che hanno tessuto queste tre giornate abbiamo voluto rispondere all’appello costante di Papa Francesco che caratterizza l’essere cristiani, cioè l’accoglienza. L’accoglienza di coloro che certamente arrivano dall’altra parte del mare, dall’Africa, ma anche di chi arriva da tutte le parti in cui l’egoismo umano ha fatto da padrone”. ha detto al Sir, mons. Francesco Soddu, direttore della Caritas, ricordando che

“l’accoglienza appartiene all’essere umano, la mobilità appartiene all’essere umano.

Nella misura in cui noi creiamo ponti, creiamo dei canali entro cui veicolare, non soltanto questi spostamenti, ma anche rapporti umani”.

“Per superare le paure è fondamentale incontrarsi e l’accoglienza è il luogo privilegiato per conoscersi reciprocamente e camminare insieme, costruendo così un futuro per tutti. Un futuro che necessariamente deve essere e sarà un futuro plurale, che mette insieme le esperienze delle diverse culture che caratterizzano il fenomeno migratorio globale”. Ne è convinto padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli che ha sottolineato come “l’accoglienza sia la via preferenziale per il futuro”. Intervistato da Sir, padre Ripamonti ha messo in guardia:

“Sempre di più si scatenano delle paure legate alla non conoscenza del fenomeno:

la paura della gente comune, la paura di tutti noi e non dobbiamo dimenticare la paura delle persone che arrivano nel nostro territorio, che sperimentano un mondo nuovo e una cultura nuova”.

Per don Gianni De Robertis, direttore della Fondazione Migrantes, è invece essenziale che nel nostro Paese si continui a “mantenere viva una fraterna solidarietà che ha caratterizzato l’Italia nei secoli”.

“La presenza del Santo Padre – ha raccontato al Sir – ha trasmesso coraggio e voglia di continuare a essere umani e cristiani.

Sono giorni in cui stiamo sperimentando anche noi quella pace che viene raccontata nei vangeli dopo la tempesta sul lago”, ha sottolineato il direttore di Migrantes , auspicando che questo momento dia “un nuovo slancio per continuare a vivere la solidarietà e a farci prossimi verso chi è nel bisogno”.

Tra i partecipanti ai tre giorni, numerosi ragazzi provenienti da zone di conflitto e disagio. Molti di loro hanno raccontato le loro storie e si sono soffermati a riflettere sul significato dell’accoglienza.

Non perdere mai la fiducia. “Sono arrivata in Italia sei anni fa – racconta al Sir Khady, una ragazza senegalese di 26 anni –. Dopo alcune peripezie sono stata accolta dall’arcivescovo di Foggia, mons. Vincenzo Pelvi, che mi ripeteva spesso che la ‘casa del Signore è la casa di tutti’. Lì, sono stata coccolata dalle suore che non smetterò mai di ringraziare, e accolta con gioia da molte persone. Con loro e da loro ho imparato ad amare e a non perdere mai la fiducia”.

(Foto Vatican Media/SIR)

Ora Khady, che nella giornata di venerdì ha abbracciato Papa Francesco, frequenta le scuole serali per conseguire il diploma e in futuro si augura di iscriversi alla facoltà di lingue e diventare mediatrice culturale. “La mia storia – spiega – spero possa essere un bell’esempio di accoglienza e che spinga tante persone a fare come è stato fatto a me. Se una persona scappa dal proprio Paese è perché si trova in una situazione difficile o comunque vuole migliorare la propria condizione di vita.

Non si scappa per venire a dare fastidio”.

L’orrore e il ricatto. “In Mali tutto andava bene fino a quando c’è stato un colpo di stato che ha creato molti problemi a tutti coloro che lavoravano con il governo. Sono stato messo in una prigione, torturato, picchiato e poi un giorno mentre mi facevano pulire l’esterno della prigione sono riuscito a scavalcare i muri di cinta e a scappare via. Ho camminato, tantissimo, ho viaggiato fino all’Algeria e poi in Libia. Ho capito subito che in Libia era peggio che in Mali. 15 ore al giorno di lavoro nero per due soldi che ci venivano rubati regolarmente. Costretti a vivere in un campo all’aperto insieme ad altre migliaia di ragazzi come me. Ero senza documenti e per questo mi hanno fermato e messo in prigione. Ancora una volta l’orrore, il ricatto: le guardie del carcere chiedevano soldi ma io non ne avevo”, è il racconto di Moussa, ho 27 anni, oggi rifugiato in Italia, che ha raggiunto attraversando il Mediterraneo. “Poi il mare, i trafficanti – prosegue nel racconto – . Sono salito su un gommone insieme a centinaia di persone, tanti come me, tante donne e bambini anche soli.

Pensavo di morire, ne ero sicuro.

Dopo tre giorni in mare una nave ci ha salvato e ci ha portato in Sicilia”. “Ora sono a Roma – spiega Moussa – , sono accolto in una comunità di ospitalità. Grazie al Centro Astalli vivo con i padri della Società missioni africani e spero di fermarmi per iniziare a costruire la mia vita qui, per non essere più un peso per lo Stato, ma per aiutare”.

 

Per Khady e Moussa e per altre migliaia di persone che si trovano in situazioni analoghe o di difficoltà Caritas italiana, Centro Astalli e Fondazione Migrantes,  hanno redatto un Documento finale sul tema dell’accoglienza:

“Il piccolo passo fa il grande cammino della storia!”. “Il nostro mondo sembra sempre di più attraversato dalla paura, spesso alimentata e strumentalizzata ad arte dai potenti del mondo – si legge nel documento conclusivo – . Non c’è paura più insidiosa di quella che nasce dalla diffidenza e si alimenta della mancanza di speranza. Essa ci fa vedere l’altro come un contendente, un avversario, fino a trasformarlo in una minaccia, un nemico”. Le organizzazioni richiamano poi l’importanza dell’accoglienza come via per costruire la pace: “Le cause delle migrazioni forzate – guerre, sfruttamento, ingiustizia sociale, violenza, tirannide, disoccupazione, terrorismo, inquinamento ambientale… – ci riguardano, come abitanti del pianeta e come cittadini di Paesi che spesso hanno responsabilità nel determinare o aggravare tali cause. Non va nemmeno dimenticato che generazioni di italiani hanno vissuto sulla loro pelle la difficile esperienza dell’emigrazione, hanno sofferto per la separazione dalle famiglie d’origine e affrontato condizioni di lavoro non facili, alla ricerca di una piena integrazione nella nuova società. Molti hanno anche conosciuto la guerra, la fame, la persecuzione. L’ingiustizia e il conflitto sono fattori determinanti nelle migrazioni di ieri e di oggi e l’accoglienza, se vissuta con lungimiranza e consapevolezza, ci offre l’opportunità per intraprendere la via della riconciliazione e della costruzione paziente della pace”. Per questo, nel contesto attuale,  non possiamo dimenticare “che la paura è esperienza anche dei migranti: crea ansia l’arrivare in un luogo nuovo, non familiare che a volte si rivela ostile, come pure agita la paura di deludere le persone care, di fallire nel progetto migratorio – si legge nel Documento – . Sempre più spesso tale situazione è esacerbata da situazioni indotte dalle circostanze del Paese di approdo: paura di perdere il permesso di soggiorno, paura di essere considerati impostori e criminali”. Una paura bilaterale, quindi, dalla quale ci si può liberare. “Noi che ci siamo lasciati liberare dalla paura, che abbiamo sperimentato la gioia dell’incontro – concludono Caritas, Centro Astalli e Migrantes – , vogliamo ‘annunciare questo sui tetti, apertamente, per aiutare altri a fare lo stesso’. Come ci ha detto Papa Francesco alla fine della Messa: ‘Il piccolo passo fa il grande cammino della storia! Avanti! Non abbiate paura, abbiate coraggio!’”

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