“Diciamo spesso che la vita spirituale non si deve esaurire nella partecipazione alla sola liturgia, ma che occorre completarla: occorre vivere la fede nella quotidianità, averla come riferimento in tutte le nostre scelte e nei nostri orientamenti culturali. Quello che spesso non si dice è che anche le manifestazioni di pietà popolare, legate al genio dei popoli e al modo che hanno avuto di affrontare momenti storici e contingenze particolari guardando a Dio e al suo mistero, sono parte della vita spirituale dell’uomo e della Chiesa. Ci sono dei limiti e dei rischi che la pietà popolare comporta, a volte veri e propri pericoli, ma questo non deve scoraggiarci, anzi essere da stimolo: a Dio bisogna lasciare aperte tutte le strade che conducono al cuore dell’uomo”. Quello di don Giacomo Sgroi, direttore dell’Ufficio regionale per la Liturgia della Conferenza episcopale siciliana, è un appello all’“impegno sinergico e corale per il rinnovamento della pietà popolare”.

Si colloca tra due eventi che hanno interessato le Chiese di Sicilia. Da un lato, l’ottava di Sant’Agata, celebrata a Catania dopo che, durante i festeggiamenti, alcuni devoti avevano sollevato proteste quando, per motivi di sicurezza, il simulacro della patrona ha percorso una strada, indicata dalla Prefettura, che era alternativa ad uno dei punti più significativi del percorso tradizionale. Mons. Barbato Scionti, parroco della Cattedrale, il capovara Claudio Consoli e la giornalista Fabiola Foti sono stati oggetto di pesanti minacce per le quali indagano le forze dell’ordine e la Procura di Catania sta verificando eventuali responsabilità.

Dall’altro, una quindicina di giorni fa, la diffusione nella diocesi di Trapani delle linee guida diocesane sulla pietà popolare: un documento presentato dal vescovo mons. Pietro Maria Fragnelli che invita, tra le altre cose, a

“programmare, distinguendo in modo chiaro gli appuntamenti religiosi dagli eventi culturali e ricreativi”.

“Le forme di pietà popolare diffuse nelle diocesi sono tante, belle, interessanti – spiega don Sgroi -, ma tutte vanno valutate ed eventualmente corrette, vanno evangelizzate e purificate, vanno rinnovate e accresciute e soprattutto armonizzate con la liturgia e inserite in una pastorale organica e unitaria. Un cammino faticoso e lento – aggiunge – che, intanto, deve avere avvio con un rinnovamento spirituale, culturale ed esistenziale di quanti sono chiamati a gestire o comunque a vivere determinate espressioni di questa pietà popolare da vicino: occorre, infatti, che la partecipazione a queste manifestazioni di fede non sia disgiunta dalla vita sacramentale della Chiesa e che non si separi il momento culturale dagli impegni che la fede proclamata indica alla vita morale”. Per il sacerdote direttore dell’Ufficio Cesi per la Liturgia, “i tempi sono maturi per intraprendere un cammino autentico verso la verità delle forme della devozione popolare e, per farlo, occorre ricondurle alla loro origine: nel tempo, infatti, certe forme di pietà popolare sono degenerate.

Cambiare le cose costa sacrificio e dà dispiaceri, ma un cristiano che entra in contatto con la parola di Dio, con il suo Mistero e con la Liturgia non dico che disprezzerà le forme di pietà, ma le porrà nel giusto posto e darà il giusto valore, senza esagerazioni”.

Invocando questo impegno corale e sinergico di tutti quanti sono, a vario titolo, impegnati nel settore della pietà popolare, perché “ci sia maggiore coerenza tra questa e la fede”, don Giacomo Sgroi aggiunge: “Per ricollocare al centro del mistero di Cristo certe espressioni devozionali fuggite nella periferia o staccate, è necessario che la pietà popolare guardi alla liturgia come a fonte e culmine. La liturgia, dal canto suo, deve essere consapevole della dimensione antropologica e comunitaria del culto cristiano. Non si deve tralasciare alcuno sforzo per raggiungere i fedeli nella loro realtà di uomini religiosi”. E’ questo un cammino che le Chiese di Sicilia hanno intrapreso da tempo: “Ancora qualche episodio, di tanto in tanto, un po’ in tutto il nostro territorio si registra e fa notizia, ma è isolato rispetto alle espressioni tutte di pietà popolare delle nostre Chiese: i semi via via stanno fiorendo nel silenzio, lontano dai riflettori – spiega il sacerdote – e portano frutto nella vita personale dei fedeli e in quella delle comunità”.

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