M.Michela Nicolais

“La collaborazione tra Stato e Chiesa, destinata a durare nel tempo”. Secondo Giuseppe Dalla Torre, è questo “il germe” dei Patti Lateranensi che rimane ancora valido, 90 anni dopo. 35 anni dopo la revisione del Concordato – spiega il giurista al Sir – il futuro sta in quella “laicità collaborativa” sancita nero su bianco per la prima volta. Quanto all’azione internazionale della Santa Sede nel mondo, resta importante e decisiva la sua capacità di “neutralità attiva”.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Novant’ anni dopo, c’è qualcosa, secondo lei, che dei Patti Lateranensi potrebbe essere migliorato?
Come è noto, i Patti Lateranensi si compongono di un Concordato e di un Trattato. È vero che il Concordato, rivisto nel 1984 con l’Accordo di Villa Madama, ha già 35 anni, ma si tratta di un testo molto ampio e profondo, in cui non si segnalano particolari problemi. Semmai, i problemi sorgono al livello delle interpretazioni di quanto dispone il Concordato: penso, ad esempio, al delibato sulle sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale, che una giurisprudenza non giuridicamente fondata della Corte di Cassazione tende a restringere sempre di più. Per quanto riguarda il Trattato, è l’atto con cui nel 1929 si è chiusa la cosiddetta Questione Romana: guardava, dunque, più al passato che al futuro. Si istituiva lo Stato della Città del Vaticano e si introducevano altre garanzie per la Santa Sede – di carattere personale, territoriale, locale, fiscale – che restano tuttora valide. Anche in questo caso, ci sono alcuni problemi di carattere interpretativo: penso all’articolo 11, che riguarda gli enti centrali della Chiesa e le loro garanzie, che negli anni più recenti hanno dato luogo a interpretazioni diverse e anche, in alcuni casi, contrastanti da parte della Corte di Cassazione. Forse un chiarimento, in relazione a tali garanzie, potrebbe risultare utile.

In sintesi, l’impianto dei Patti Lateranensi rimane valido. La Santa Sede, dopo il 1929 ma soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, ha svolto sempre di più in prima persona un ruolo di primo piano nel diritto internazionale: dall’isolamento di Papa Benedetto XV siamo passati al ruolo così evidente ed importante di oggi, dovuto anche alle garanzie offerte dal Trattato.

I Patti hanno facilitato l’attività internazionale della Santa Sede: quale la sua rilevanza oggi e quali le sfide più urgenti da affrontare?
Oggi la Santa Sede è un soggetto di diritto molto rilevante: non è un caso che quasi tutti gli Stati intrattengano rapporti con la Santa Sede, cioè sentano la necessità di avere con essa una stabile relazione. In base al Trattato, la Santa Sede ha una posizione di neutralità, ma non una neutralità passiva di chi sta alla finestra a guardare:

una neutralità attiva, propria di chi, non prendendo posizione nei contrasti tra poteri, interviene per arrivare a far crescere la comunità internazionale in termini di giustizia, solidarietà, pace, collaborazione, rispetto dei diritti della persona.

Facendo sì che tali garanzie vengano assicurate, la Santa Sede svolge oggi un ruolo molto importante, non solo per se stessa ma per l’intera comunità internazionale.

Diritti umani e libertà religiosa sono oggi minacciati in molti parti del pianeta: i Patti Lateranensi, 90 anni dopo, possono essere ancora una “lezione” per il futuro?
I Patti Lateranensi sono il supporto all’azione possibile della Santa Sede in questo campo. Spetta alla Santa Sede, infatti, cercare di mobilitarsi per facilitare la crescita di sensibilità sulla tematica dei diritti umani, oggi minacciati nello scacchiere mondiale da ragioni diverse, legate alle nuove culture emergenti e alla “cultura del relativismo” in cui siamo immersi, per cui non esiste niente di assoluto. I diritti umani, invece, sono spettanze di ogni essere umano, in ogni luogo e in ogni tempo. Tra di essi, rientra anche il diritto alla libertà religiosa, che – anche se può sembrare paradossale – nel 70% dei casi è un diritto violato a livello planetario. Non solo nei grandi Paesi più popolosi, ma anche in Occidente, come dimostra il dibattito sui simboli religiosi.

La revisione del Concordato, nel 1984, ha confermato un programma di collaborazione tra Stato e Chiesa, nel rispetto del principio di laicità. In quali campi, secondo lei, tale collaborazione funziona di più, e come possono i cattolici impegnati in politica contribuire ad incentivarla?
La collaborazione tra Stato e Chiesa, che era “in nuce” nel Trattato e nel Concordato del 1929, è stata codificata proprio dagli Accordi di Villa Madama, e specificamente dal primo articolo, che sancisce che Stato e Chiesa collaborano per il bene del Paese e la promozione della persona. C’è un programma di collaborazione, nella revisione del Concordato, che dà della laicità un’interpretazione diversa dalla concezione tradizionale della laicità laicista, separatista, conflittuale:

è una “laicità collaborativa”, che distingue tra Stato e Chiesa ma favorisce una collaborazione nell’interesse della persona.

L’ambito in cui questa collaborazione funziona di più è la solidarietà – il cosiddetto terzo settore – che non è né mercato, né Stato. Si tratta di un campo enorme: molta parte dell’economia italiana si sostiene in questo ambito, a cui si dà in genere poca attenzione ma che è di grande importanza. L’evoluzione individualistica degli ultimi decenni ha portato all’emarginazione, alla fine delle “società intermedie” tra individuo e Stato: la Chiesa italiana, nelle sue diverse componenti, è rimasta l’unica a fare da “collante” nella nostra società pluralista.

Scongiurare il rischio di una società frammentata, abitata da cittadini che non sanno più riconoscersi abitanti della stessa casa, è un compito, di per sé, già politico. Perché la politica non si fa soltanto attraverso la rappresentanza parlamentare, le strutture partitiche, i consigli regionali o comunali: si fa anche agendo nella società e creando i presupposti per la tutela del bene comune.

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