DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del monastero Santa Speranza in San Benedetto del Tronto.

«Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito»: sono parole pronunciate dal profeta Isaia e che leggiamo nella prima lettura della liturgia di questa domenica. Parole, sembrerebbero, di sconforto, che attestano una debolezza, che testimoniano una paura… «…eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti».
Di fronte alla verità che ciascuno, come Isaia, fa di se stesso, il Signore interviene, si fa vedere. Addirittura il Signore domanda il nostro aiuto, chiede il nostro sostegno: «Chi manderò e chi andrà per noi?». «Eccomi, manda me!» risponde subito Isaia. Sulla presenza del Signore, sulla sua Parola, possiamo spendere la nostra vita…
Come Pietro che, nel brano del Vangelo, chiede a Gesù di allontanarsi da lui perché peccatore. Ma proprio a lui Gesù chiede in prestito la barca, chiede “in prestito”, cioè, la vita…chiede a Pietro di affidare nelle sue mani la propria esistenza, la sua storia, quello che è, perché questa vita e questa storia possano diventare manifestazione, testimonianza della gloria, della salvezza, della potenza di Dio. Senza Isaia, Dio non può far nulla…senza Pietro, Gesù non può far nulla…senza me, il Signore, oggi, ha una “marcia in meno”.
Ce lo dice anche San Paolo: «Io sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono…e la sua grazia in me non è stata vana».
Gesù ci chiede, come ha chiesto a Pietro, di scostarci da terra, di prendere le distanze dalla terra, dalla certezza, cioè, di aver fallito tutto. Quello che noi vediamo come fallimento, come debolezza, come paura, il Signore lo fa suo. «Sedette e insegnava alle folle dalla barca», leggiamo ancora nel Vangelo. Gesù non viene per un momento, non vuole essere una apparizione nella nostra vita; Gesù si siede, prende dimora stabile e, della nostra barca, della nostra storia “inutile”, fa il pulpito per indirizzare la sua Parola alla folla.
E’ questa Parola, questa grazia che “chiama” Paolo e rende la sua vita annuncio di salvezza per le genti: «A voi ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici».
Il comando di Gesù, «Prendi il largo», non è allora una imposizione. Gesù ci chiede di pensare in grande, di mettere la nostra vita dentro “cose grandi”, di darci orizzonti ampi e non giocare solo nello “stretto” delle nostre debolezze, nella tentazione di credere più al nostro peccato che alla sua grazia! Questo per raccogliere tutto quello che la vita ci farà incontrare, certi, come dice il salmista, della fedeltà, dell’amore del Signore, certi e consapevoli che il Signore non lascerà mai senza risposta il nostro gridare, certi che il Signore farà tutto per noi…perché il suo amore è per sempre.
A noi vivere…seguendo solo Lui, abbondanza di tutta la nostra vita.

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