“Ogni pena non può essere chiusa: sempre deve avere la finestra aperta per la speranza”. Lo ha detto, a braccio, il Papa, rivolgendosi al personale del carcere romano di Regina Coeli, ricevuto ieri in udienza. “Sia il carcere, sia ogni persona, ognuno deve avere sempre la speranza del reinserimento”, ha proseguito Francesco ancora fuori testo, citando anche l’esperienza degli ergastolani: “Devono fare lavori, ma sempre la speranza del reinserimento”. “Una pena senza speranza non serve, non aiuta: provoca nel cuore sentimenti di odiosità, tante volte di vendetta, e la persona esce peggio di come è entrata”, la denuncia del Papa, sempre a braccio: “Sempre cercare che ci sia la speranza, vedere sempre al di là della finestra, sperando nel reinserimento”, l’auspicio. “So che voi lavorate tanto per reinserire ognuno che è un carcere”, l’omaggio a tutti coloro che lavorano nei penitenziari: “Vi incoraggio a svolgere la vostra importante opera con sentimenti di concordia e di unità. Tutti insieme, direzione, polizia penitenziaria, cappellani, area educativa, volontariato e comunità esterna siete chiamati a marciare in un’unica direzione, per aiutare a rialzarsi e a crescere nella speranza quanti sono, purtroppo, caduti nella trappola del male”. “Ho tanta vicinanza ai carcerati e alle persone che lavorano nelle carceri”, ha rivelato il Papa ancora fuori testo: “Nell’altra diocesi ci andavo spesso al carcere, e ogni quindici giorni faccio una telefonata ad un gruppo di carcerati che visitavo con frequenza. Sono vicino, ma sempre ho avuto la sensazione, quando sono entrato, nel carcere: ‘perché loro e non io’? Avrei potuto essere lì perfettamente, e il Signore mi ha dato una grazia perché i miei peccati, le mie mancanze sono stati perdonati. Ma quella domanda aiuta tanto: ‘perché loro e non io?’. Vi accompagno con il mio affetto e con la mia preghiera, perché possiate contribuire, con il vostro lavoro, a far sì che il carcere, luogo di pena e di sofferenza, sia anche laboratorio di umanità e di speranza”.

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