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XXIII Giornata della vita consacrata: grande festa per i religiosi e le religiose della diocesi

DIOCESI – Sabato 2 febbraio i religiosi e le religiose della diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto si sono ritrovati presso la Cattedrale della Madonna della Marina in occasione della XXIII Giornata della Vita Consacrata. Una volta benedette le candele nel cortile parrocchiale, i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i fedeli si sono diretti processionalmente in chiesa. La Santa Messa è stata celebrata dal Vicario Generale don Domenico Spina. Riportiamo integralmente la sua omelia:

“[4] Mi fu rivolta la parola del Signore:
[5] “Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo,
prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato;
ti ho stabilito profeta delle nazioni”.
[6] Risposi: “Ahimè, Signore Dio, ecco io non so parlare,
perché sono giovane”.
[7] Ma il Signore mi disse: “Non dire: Sono giovane,
ma và da coloro a cui ti manderò
e annunzia ciò che io ti ordinerò.
[8] Non temerli,
perché io sono con te per proteggerti”.
Oracolo del Signore.
[9] Il Signore stese la mano, mi toccò la bocca
e il Signore mi disse:
“Ecco, ti metto le mie parole sulla bocca.
[10] Ecco, oggi ti costituisco
sopra i popoli e sopra i regni
per sradicare e demolire,
per distruggere e abbattere,
per edificare e piantare”.
[11] Mi fu rivolta questa parola del Signore: “Che cosa vedi, Geremia?”. Risposi: “Vedo un ramo di mandorlo”.
[12] Il Signore soggiunse: “Hai visto bene, poiché io vigilo sulla mia parola per realizzarla”. (Geremia 1,4-12)

Mentre stiamo celebrando la XXIII Giornata di preghiera per la Vita Religiosa, ci viene donata questa parola dalla liturgia che stiamo vivendo. È la storia della vocazione del profeta Geremia, che riascoltiamo integralmente. Profeta, lo sappiamo bene, non è solo colui che parla in nome o per nome di Dio, ma è colui che a Dio rimanda sempre e continuamente. Ecco perché più volte si è parlato nella Chiesa della vita religiosa come vera profezia.

Geremia presagiva tutto il peso che era contenuto in quella frase solenne che Dio gli rivolse dicendo (v.5): “Prima che io ti formassi nel grembo di tua madre, ti ho conosciuto; prima che tu uscissi dal suo grembo, ti ho consacrato e ti ho stabilito profeta delle nazioni e allora cerca di prendere tempo, oppure pensa che Dio lo abbia sopravvalutato e quindi risponde (v.6) Ahimè, Signore Dio, io non so parlare, perché sono un ragazzo”. Se torniamo con la memoria affettiva agli inizi della nostra storia, chi tra noi non ha risposto in questo modo al Signore che gli si stava proponendo?

Effettivamente Geremia non aveva sbagliato nel preoccuparsi per il compito al quale Dio lo aveva chiamato: sradicare, demolire, abbattere, distruggere ma anche edificare e piantare. Questo è lo sfondo della vita di un profeta che si pone delle domande, che ha legittime domande di fronte alla sua vocazione, che soffre per non essere compreso dal suo popolo, che protesta contro il male, che critica la religione ma che annuncia l’alleanza futura che Dio stabilirà con il suo popolo.

Per fare tutto questo Geremia dovrà ricevere la possibilità di vedere e profetizzare e su queste percezioni Dio lo stimola ad essere attento quando gli chiede: “Geremia, che cosa vedi?”. È la domanda che viene rivolta al profeta e lui dice di vedere un mandorlo in fiore: Geremia vede prima di tutto l’incoraggiamento di Dio.

Forse a noi l’idea di vedere un ramo di mandorlo non dice nulla di particolare e ci può fare domandare che consolazione potrebbe portare al profeta. Se noi potessimo leggere il testo ebraico, scopriremmo che c’è un gioco di parole per noi intraducibile tra mandorlo (shaqed) ed il termine “vegliatore” (shoqued). Il gioco di parole vuole stimolare il lettore ad intravedere dietro al mandorlo la vigilanza, e questo ce lo confermano le parole che Dio pronuncia quando dice (v.12): “Hai visto bene, perché io vigilo sulla mia parola per compierla”. Una risposta, quella di Dio, che contiene tanto una promessa (perché io vigilo sulla mia parola) quanto una missione (compierla). Il senso della promessa lo possiamo cogliere con più forza se restiamo ancora per un attimo legati alla visione del mandorlo, anzi del mandorlo/vegliatore. Tanto nelle nostre zone, come in tutte quelle del mediterraneo, il mandorlo è la pianta che nel cuore dell’inverno, prima ancora di tutti gli altri alberi, annuncia primavera. Il mandorlo, come Dio, è sveglio mentre tutti gli altri dormono, nel freddo e nella desolazione di un popolo infedele Dio vigila e veglia.

A volte anche noi, o le nostre chiese sono come degli alberi che in inverno hanno perduto le loro foglie e che hanno limitato al massimo il flusso della loro linfa. Tra tutti questi alberi spogli la fioritura del mandorlo non solo mostra la vita piena, ma anche che Dio si offre ai nostri sguardi increduli e sfiduciati. Noi oggi non sempre vediamo i mandorli in fiore. Anzi noi oggi vediamo ogni giorno dei tentativi di smentita alle nostre speranze e grazie ai mezzi di informazione non possiamo dire di non sapere che questi tentativi esistono. Anche a noi oggi il Signore rivolge la domanda: “Cosa vedi?”. E noi scopriamo di essere delle sentinelle che, come Geremia, vedono e sentono, si rendono conto della disperazione e della sofferenza. Nel nostro essere sentinelle di questo mondo affidiamo a Dio, nella preghiera, le sofferenze e le gioie, ma annunciamo anche al mondo la salvezza che viene da Dio ed è per questo motivo che come profeti/religiosi possiamo rispondere di Sì a Dio, nonostante l’esperienza della propria pochezza.

Certo non a tutti vengono chieste le stesse cose, tuttavia tutti possiamo essere testimoni che annunciano il perdono possibile dove si accumulano gli odi, che discernono i segni del rinnovamento di Dio nelle nostre chiese e nella nostra storia. Senza troppa enfasi, a voi religiosi è ancora una volta chiesto di essere sentinelle per dare un nome ed un cognome agli idoli di questo tempo, per offrire a coloro che non sperano più ragioni per vivere e questo nonostante le oscurità, i dubbi e le sofferenze. Noi siamo qui per dire che Dio veglia, nonostante la notte del mondo e voi religiosi questo ce lo mostrate con la vostra vita, con la pochezza della vostra vita nella quale è presente visibilmente la persona di Cristo Signore.

Essere testimoni è tuttavia gravoso e difficile: è sperare e confidare sempre, è dire che Dio agisce anche se siamo schiacciati ed umiliati. Essere testimoni significa anche avere la capacità di vedere e di aggrapparci fortemente al ramo del mandorlo che fiorisce anche nel cuore dell’inverno, anche nell’inverno della fede. Questo ricordateci, questo mostrateci con le vostra testimonianza di vita, cari fratelli e sorelle che il Signore ha chiamato ad essere oggi sentinelle di cose nuove.

E l’esempio ci viene offerto da Cristo, di cui abbiamo ascoltato nel Vangelo stasera.
Lo cacciarono fuori dalla sinagoga, eppure, lì era stato iniziato alla fede. Lo cacciarono fuori dal territorio dove era cresciuto, dovette sentirsi un po’ straniero, anche in mezzo ai suoi. Era troppo diverso: aveva la pretesa di inaugurare un inizio di Regno di Dio sulla terra, una speranza per tutti, anche per i peccatori e i disperati, per i poveri e gli oppressi, coloro che i benpensanti avevano già scartato.

Carissimi fratelli e sorelle, voi che siete religiosi sapete, avendo donato a Dio in Cristo tutta la vostra vita che, se vogliamo conoscere, capire l’azione di Dio, dobbiamo uscire dai nostri confini, andare a Sarèpta di Sidòne o incontrare Naamàn, il Siro. Dobbiamo uscire, andare fuori. È il senso profondo per cui un religioso è sempre andato fuori, amando Dio prima di tutto e di tutti.

“Lo condussero sul ciglio”. La parola “ciglio” è espressa con il termine greco ofrýs, vocabolo che significa, in modo traslato “alterigia, orgoglio”. Simbolicamente Nazareth è una città costruita sull’orgoglio, è il simbolo di sicurezze costruite su una identità alterata, falsificata, con una religione colma di sentimenti e privata di fede, che non dà spazio a Gesù e che ha dimenticato il cuore del Vangelo, della Buona Notizia del Regno che è in mezzo a noi.

La furia dei nazareni sembra diventare impotente di fronte a Gesù che passa e si incammina, passa nel mezzo, attraversa la storia e le pretese degli uomini, non cerca consensi, passa dentro la vita di ciascuno, senza alcun giudizio; privo di pregiudizi passa in mezzo al cuore, alla mente alle idee di ciascuno, senza calpestare, senza invadere ma con rispetto ed amore infinito. Sappiamo bene dove sta andando, dove il rifiuto dell’umanità lo conduce, tuttavia continua ad amare tutti, nessuno è escluso. Gesù così risponde, con un silenzio che è privo di rancori o rivendicazioni, senza giustificazioni o spiegazioni: Lui continua ancora, attraverso voi, a farci rivivere la bellezza del Regno di Dio che è già in mezzo a noi.

Di tutto questo, fratelli e sorelle, voi siete testimoni!
Di tutto questo siate ancora nella Chiesa esperti di Dio perché esperti di umanità”.