Patrizia Caiffa

Si fa sempre più aspra la crisi in Venezuela, con uno scontro diplomatico a livello internazionale, dopo che Juan Guaidó, 35 anni, presidente dell’Assemblea nazionale, si è autoproclamato ieri presidente ad interim del Venezuela, sulla base di due articoli della Costituzione. Il suo obiettivo è di guidare la transizione democratica fino alla convocazione di nuove elezioni. L’assemblea nazionale, esautorata del potere legislativo, non riconosce infatti il risultato delle ultime elezioni, con il presidente Nicolas Maduro che si è insediato il 10 gennaio per il secondo mandato presidenziale. Ieri è stata una lunghissima giornata di proteste dell’opposizione, con folle oceaniche in tutto il Paese, represse brutalmente. Gli scontri con le forze dell’ordine ancora proseguono e finora i morti ufficiali sono 16 (ma fonti locali parlano di 26 vittime) mentre il ministro della Difesa venezuelano Vladimir Padrino Lopez conferma l’appoggio delle forze armate a Maduro e definisce l’accaduto “un golpe di Stato molto pericoloso per la nostra pace sociale”. Le forze armate affermano di non prestarsi a “giochi di bambini” e definiscono il gesto di Guaido, un “atto aberrante e vergognoso”. Gli Stati Uniti riconoscono invece Guaidó come nuovo presidente insieme ad Argentina, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Ecuador, Paraguay, Perù, mentre Cina, Russia, Turchia, Siria, Iran si schierano con Maduro.  Ieri i vescovi del Venezuela, tramite la Commissione giustizia e pace, avevano chiesto di “evitare la repressione violenta” ma così non è stato.  Anche Papa Francesco, tramite il direttore ad interim della Sala Stampa della Santa Sede, Alessandro Gisotti, ha fatto sapere che “segue da vicino l’evolversi della situazione e prega per le vittime e per tutti i venezuelani. La Santa Sede appoggia tutti gli sforzi che permettano di risparmiare ulteriore sofferenza alla popolazione”. Da ricordare che il 91% della popolazione è sotto la soglia della povertà, di cui il 65% in povertà estrema. L’inflazione è arrivata a cifre impronunciabili, con l’aumento di 10 milioni per cento previsto nel 2019. Ossia con uno stipendio medio mensile si riescono a comprare solo due cartoni di uova. L’80-90% della popolazione soffre per la carenza di medicinali e la metà degli ospedali non è operativa. 5 milioni di venezuelani sono fuggiti oltre frontiera. Dal Venezuela sono arrivati al Sir video molto forti con le immagini delle forze di polizia che sparano ai manifestanti.

Qui sparano con armi di grosso calibro ai manifestanti in fuga a Carora, una città venezuelana nello Stato del Lara, nel nord del Paese.

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In altri video si vedono folle oceaniche di manifestanti a Maracaibo, Valencia,  Valle de la Pascua (Guarico), Carora (Estado Lara), Mérida, Puerto Cabello.

I corpi speciali di sicurezza che reprimono i manifestanti a Valle de la Pascua, una città nel nord del Venezuela nello Stato di Guárico, si vedono nel video che segue. Si parla di una persona morta durante gli scontri.

Oltre 700 persone si sono barricate nella cattedrale Nostra Signora del Carmen a Maturìn, nello Stato di Monagas, nella parte orientale del Venezuela, per proteggersi dalla repressione dell’esercito, che presidiava l’entrata.

In un altro video girato dall’alto di un palazzo a Valle de la Pascua si vedono folle imponenti di manifestanti e si sentono i rumori di cacerolazos, una forma di protesta che si usa in America Latina percuotendo casseruole (da cui il nome), pentole, coperchi, mestoli ed altri utensili.

Anche Amnesty international ha condannato la dura politica repressiva di Maduro, con “la presenza in strada delle famigerate forze d’azione speciale, un reparto della Polizia nazionale bolivariana in passato accusato di violenze e uso eccessivo della forza letale e cui non spetta la gestione delle manifestazioni. Questa loro presenza pone in grave pericolo la vita e l’integrità fisica delle persone che prendono parte alle proteste. Vi sono già state gravi denunce sull’impiego di gruppi armati filo-governativi per cercare d’impedire le proteste in varie parti del Paese”. “Protestare non può essere sinonimo di morte – sottolinea Amnesty -. Usare le pallottole per ridurre al silenzio chi pone legittime richieste riguardo ai diritti umani riduce ulteriormente le possibilità di una soluzione pacifica alla grave crisi internazionale e dei diritti umani che il Venezuela sta attraversando negli ultimi anni”.

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