Gianni Borsa

Cosa ci può essere dietro le continue scaramucce politiche tra Italia e Francia? Per quale ragione alcuni esponenti del governo di Roma prendono di mira – in qualche caso non senza ragione – le più alte istituzioni di Parigi? E come mai tale livore si rivolge talvolta anche verso Berlino? Non mancano esempi di varia natura, ma sulle migrazioni il livello di scontro rimane al top. Per non parlare dei riferimenti ai gilet gialli, al franco coloniale e al colonialismo (tanto da toccare le delicatissime maglie della diplomazia; convocazione dell’ambasciatore italiano in Francia). Fino alle reciproche e pesanti accuse – soprattutto tra i vicepremier italiani Di Maio e Salvini e il presidente transalpino Macron – di incapacità e irresponsabilità politica. Con il premier italiano Conte tenuto a intervenire nella veste di paciere.
Cosa divida l’Italia dalla Francia o l’Italia da altri Paesi ce lo ricorda la cronaca.Si pensi alla missione Sophia (ritiro temporaneo della Germania; minaccia di chiusura, da parte di Bruxelles, della missione stessa). Oppure alla direttiva sul Copyright, o – più evidente ancora – la risposta coesa degli altri Stati membri alla traballante manovra finanziaria italiana, corretta in corso d’opera. Poi ci sono il gigantesco debito pubblico italiano che impensierisce l’Eurozona; le ventilate minacce da Roma di bloccare il Quadro finanziario Ue 2021-2027; le insistenze, espresse con toni ultimativi, sulla riforma dei Trattati (questione che scalda gli animi solo al di qua delle Alpi…) per “rifondare dalla base questa Europa”.
Il governo italiano ha il dovere di tutelare gli interessi nazionali. Lo stesso fanno gli altri governi Ue. Il punto resta la volontà di inserirsi nel quadro europeo, contemperando gli interessi tricolori con quelle comunitari. Così è scritto nei trattati ed è ciò che prevede la partecipazione solidale dei singoli Paesi membri all’Ue.Su tale terreno emergono i veri nodi critici dell’Unione europea di oggi: quando i governi pensano solo al proprio tornaconto l’Ue viene meno.Per gli esempi c’è solo l’imbarazzo della scelta, e sono targati Polonia, Ungheria, Germania, Danimarca… Ma l’elenco, che comprende l’Italia, si estende a vari altri Stati, per giungere all’emblema del nazionalismo anti-Europa che si chiama Brexit: quel nazionalismo che lascia intendere di non aver bisogno degli altri, di bastare a se stessi. Salvo trovarsi chiusi nell’angolo, con un Paese diviso e boccheggiante, a dover chiedere indulgenza e pazienza agli altri 27. I quali, a questo punto, si augurano che il 29 marzo 2019, data del divorzio da Londra, arrivi il prima possibile.
Peraltro non si deve dimenticare che nazionalismi dilaganti e duelli tra governi e diplomazie lasciano intravvedere – e sempre più riguarderanno – le elezioni per il rinnovo dell’Europarlamento di maggio. Ci sono politici che, pur di raccogliere qualche punto percentuale in più, farebbero i salti mortali. Anche a costo di mettere in crisi le relazioni internazionali.E pensare che le prossime elezioni europee per la prima volta avranno un reale seguito nell’opinione pubblicaperché si sta comprendendo che dall’Europa transitano oggi le grandi questioni economiche, sociali e politiche di questa fase storica. Ma viste le premesse, quale campagna elettorale attendersi? Saranno proposti ai 400 milioni di elettori progetti di lungo respiro e di scala continentale? Si parlerà del bene dei cittadini che abitano tra il Mediterraneo e il Baltico, fra Lisbona e Varsavia? I partiti e le famiglie politiche (popolari, socialdemocratici, conservatori, sovranisti, liberali, verdi, sinistra…) metteranno in campo candidati credibili e programmi adatti a rendere l’Ue più vicina ai cittadini, più efficace al suo interno e autorevole sulla scena globale?
La vera partita si giocherà qui. Tra chi prende sul serio la politica e l’Europa e chi – mirando solo ai sondaggi – farà risuonare parole roboanti, senza però fornire risposte alle attese dei cittadini europei.

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