Iva Mihailova

È forse giunta la puntata finale della serie ventennale che ha diviso Atene da Skopje sul nome della Macedonia? Una risposta positiva è già arrivata dal Parlamento macedone che il 12 gennaio ha adottato gli emendamenti costituzionali previsti dall’accordo di Prespa, firmato con la Grecia il giugno scorso. Skopje che finora era riconosciuta ufficialmente dalle Nazioni Unite come Fyrom (Former Yugoslav Republic of Macedonia) si chiamerà Macedonia del Nord e accetterà una serie di richieste da parte di Atene. Il pegno è l’entrata nell’Ue e nella Nato alla quale la Grecia si oppone dal 1991, anno in cui Skopje si distaccò dall’allora Jugoslavia.

Il politologo Kostadin Filipov

“Infatti, ora la palla passa ad Atene – spiega al Sir l’analista politico dei Balcani Kostadin Filipov -; probabilmente il voto finale per la ratifica si svolgerà il 24 gennaio”. A suo avviso, “anche il Parlamento greco adotterà l’intesa, è il passo della ragione, quello auspicato dalla comunità internazionale, decisivo per il futuro di Skopje ma anche per dimostrare una certa maturità da parte di Atene”.

Le proteste ad Atene. Intanto però sia in Parlamento che sulle piazze di Atene gli animi non si placano. E se il nuovo nome del vicino balcanico settentrionale sarà accettato, questo non avverrà senza ripercussioni. “La settimana scorsa si è dimesso il ministro della difesa Panos Kammenos, leader del partito nazionalista di destra, parte della coalizione del governo”, ripercorre le vicende Filipov, commentando che “si è trattato di un atto che ha fatto tremare il governo di Alexis Tsipras”. Il primo ministro è però poi riuscito a ottenere un voto di fiducia. Secondo l’analista, Tsipras troverà in aula i 151 deputati necessari per approvare il patto con Skopje.

Tsipras e le opposizioni. “Certo, le pressioni sia su Tsipras sia su Zaev sono enormi – chiosa Filipov –. Sanare le ferite profonde e pulire pregiudizi accumulatisi da decenni è un affare molto gravoso”. Non a caso, domenica scorsa, 20 gennaio, nel cuore di Atene sono affluiti migliaia di manifestanti da tutto il Paese che ripetevano il vecchio ritornello che Skopje non ha diritto di usare neanche parzialmente il nome Macedonia, ritenuto dai contestatori un patrimonio di esclusiva appartenenza greca. “Tutto questo accade sullo sfondo di un nazionalismo crescente, sotto le forti pressioni dell’opposizione”, chiarisce il politologo. Se si aggiungono i dati economici non rosei di Atene, le prossime elezioni europee e municipali in programma a maggio, emerge una vera e lunga sfida per Alexis Tsipras. “Non è esclusa anche la possibilità di elezioni anticipate e, in questo caso, la disputa per il nome è un’ottima arma nelle mani dell’opposizione”.

Un passo per la riconciliazione. “La verità è che l’accordo richiede tanti compromessi da ambedue le parti”, afferma Filipov. “Le concessioni da parte di Skopje sono maggiori e forse è arrivato il momento in cui anche i nazionalisti ellenici possano capire che non ci sono alternative ad accettare la realtà storica”. E mentre i rapporti tra Atene e Skopje stanno cercando di trovare la strada giusta, la comunità internazionale – soprattutto l’Ue e la Nato alle cui porte Skopje busserà appena si libererà dal veto greco – sta guardando con attenzione e preoccupazione verso i Balcani. Perché la fine di questa lunga discussione diplomatica sarà un segnale forte di pace e riconciliazione per tutta la regione.

Entra a far parte della Community de L'Ancora (clicca qui) attraverso la quale potrai ricevere le notizie più importanti ed essere aggiornati, in tempo reale, sui prossimi appuntamenti che ti aspettano in Diocesi.

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *