Patrizia Caiffa

Una famiglia romana con due figli liceali. Un giorno la mamma, già impegnata nella vita come formatrice interculturale, sorprende tutti. “Per il mio compleanno vorrei accogliere in casa un rifugiato”. Il papà, inizialmente un po’ perplesso, parla in un bar di sbarchi e migranti. Qualcuno gli dice: “Allora portateli a casa tua”. Non ha più dubbi: lo fa. Ora accolgono da due settimane Mamadou, dal Mali. Sono tante le storie di accoglienza iniziate così, quasi per caso, nell’ambito dell’iniziativa “Refugees welcome Italia”, mutuata dall’esperienza iniziale avviata a Berlino nel 2014. In tre anni sono stati accolti presso famiglie italiane che hanno deciso di aprire letteralmente la porta di casa 120 migranti titolari di protezione internazionale. 31 sono attualmente in accoglienza. Altri 160 posti sono previsti dal 2019 in poi. In Italia vi sono 200 attivisti e 18 gruppi territoriali e altri apriranno a breve. Il bilancio delle attività e un volume con le “linee guida per l’accoglienza in famiglia”, che intende proporsi come modello di buone prassi replicabili a livello istituzionale e nel terzo settore, non solo per i migranti, sono stati presentati oggi a Roma. Le regioni che hanno accolto di più sono il Lazio e la Lombardia, la città più ospitale è stata Roma, con 30 convivenze attivate. Il 58% delle persone accolte sono titolari di protezione umanitaria, il 20% sono rifugiati, il 16% titolari di protezione sussidiaria, mediamente in Italia da tre anni. L’85% sono uomini, provengono da 28 Paesi, i più rappresentati sono Gambia e Mali. Ad accogliere sono coppie con figli (30%), con figli adulti fuori casa (11%), senza figli (23%) ma anche persone singole (28%). Le famiglie e i migranti si iscrivono ad una piattaforma on line, quindi vengono contattate e selezionate dai volontari, che poi fanno gli abbinamenti.

Laura e Sal

A casa di Laura. “Le persone non capiscono che la migrazione non è un’emergenza ma un fenomeno che c’è sempre stato e sempre ci sarà. All’essere umano fa bene mischiarsi. Ad un certo punto mi sono detta: se nessuno fa qualcosa voglio farlo io”, ha raccontato Laura, madre single con due figli. Da otto mesi ha in casa Sal Omar, proveniente dalla Somalia. “Ci siamo incontrati in un bar romano e ci siamo piaciuti – prosegue Laura -. Sono riuscita a fare quel qualcosa in più che volevo fare e i miei figli hanno imparato tanto, soprattutto a non dare molte cose per scontate”. Sal Omar, arrivato tre anni fa in Italia, ha trascorso i primi due anni nei centri di accoglienza in Sardegna. “Prima stavo da solo, ora ho una famiglia – ha detto -. Studio e lavoro. Sono molto contento perché vedevo tanti ragazzi che morivano di fame in strada, non volevo finire come loro”.

Boom di iscrizioni dopo la chiusura dei porti. “Al momento abbiamo 1.196 famiglie iscritte alla piattaforma, con un boom di iscrizioni nel 2018, come risposta alla politica della chiusura dei porti – ha spiegato Fabiana Musicco, co-presidente di Refugees Welcome Italia -. Ci sono

3.448 migranti che chiedono di essere ospitati. In seguito al decreto sicurezza c’è stato un aumento enorme, perché chi viene espulso dai centri non sa dove andare. Sono cifre che ci preoccupano”.

Secondo Matteo Baffoli, co-presidente di Refugees Welcome, “cambiare l’approccio sull’accoglienza e costruire una cultura nuova è l’unico modo per depotenziare le paure e guardare al futuro con ottimismo”.

Dal 2019 grazie ad un progetto finanziato dal fondo europeo Fami (Fondo asilo migrazione e integrazione) partiranno altre 160 convivenze.

Anche il Comune di Roma ha annunciato l’intenzione di attivare 30 convivenze ma al momento non è stato siglato nessun accordo.

Al centro, Felipe Camargo (Unhcr)

Le conseguenze del decreto sicurezza. Tra le conseguenze del decreto sicurezza c’è infatti l’espulsione dai centri di accoglienza di chi aveva il permesso per motivi umanitari in scadenza. “C’è tanta confusione in tutta Italia, i prefetti non sanno cosa fare. E’ un grande problema”, ha ammesso Felipe Camargo, rappresentante dell’Ufficio Regionale per il Sud Europa dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), rispondendo alle domande dei giornalisti: “Sono stato al ministero dell’interno a fare presente la situazione, hanno detto che ci saranno alcune risposte ai casi più vulnerabili. Ma il rischio c’è e bisogna fare pressione per trovare delle soluzioni”. “Abbiamo contatti con tante organizzazioni sociali, tra cui la Caritas, per vedere di fare qualcosa di più ampio in termini numerici – ha proseguito -. Ma non vogliamo togliere allo Stato le proprie responsabilità, che derivano dall’aver firmato le convenzioni internazionali”. Roberto Guaglianone, della cooperativa “Farsi prossimo” promossa dalla Caritas ambrosiana, ha poi evidenziato la necessità di “una richiesta forte agli Stati perché mettano in atto politiche per la promozione dei diritti”, anche per “dare risposte ad una problema abitativo nei territori che non riguarda solo le persone migranti”.  Esperienze come “Refugees welcome” o “Protetto. Rifugiato a casa” promosso da Caritas italiana sono importanti anche “per venire incontro alla crescente esclusione sociale provocata da normative recenti”.

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